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martedì 26 maggio 2015

BIANCHE FORME 2013 - Candia dei Colli Apuani D.O.C. - Terre Apuane



...mi piace pensare che a Terre Apuane, piaccia presentare un vino dallo spirito adolescenziale, a cui piace rimanere vivo e scalpitante, espressione diretta e senza fronzoli di un territorio e della sua annata, di se stessi e della propria indole di vignaiolo e contadino.


Forse molti di voi eno-fanatici già conoscono questa cantina, ma per me quella di Terre Apuane é una piacevole novità, una "new entry" che ho avuto modo di conoscere all'ultima edizione de La Terra Trema, e che dimostra ancora una volta, che c'è una viticoltura fatta da giovani vignaioli intelligenti e scalpitanti, che hanno la volontà e la forza di riprendersi la terra per viverla. Uno scatto fondamentale e una presa di coscienza importante, un taglio netto con quell' agricoltura che le generazioni passate hanno trasformato in sfruttamento del suolo e delle risorse. 

Direi che scrivere di Terre Apuane come di una novità nel panorama vitivinicolo nazionale sia tutto sommato corretto, essendo una realtà nata nel 2011, in località Castelpoggio, provincia di Carrara, incastonata tra il mare e le Alpi Apuane, in una terra di confine tra Liguria, Emilia e Toscana, non lontano dai Colli di Luni, dalle cave di marmo e dal mito del lardo di Colonnata. Siamo nel territorio del Candia D.O.C., una striscia di terra dai ripidi declivi che guardano il mare. Qui Emanuele Crudeli da vita a Terre Apuane, realtà vitivinicola di 5 ettari e 15.000 bottiglie, contenenti succo di uve autoctone, rosse e bianche, Sangiovese, Massaretta e Vermentino nero, Vermentino bianco,  Albarola, e Malvasia. Situata ad una altezza di 700m, è la cantina più alta di Toscana, il che significa viticoltura difficile, simile a quella di montagna, con l'intento di gestire nella maniera meno invasiva possibile, in un’ottica di agricoltura biodinamica, i due vigneti: “La Perla” di impianto recente e “Forma Alta”, vigneto risalente all’epoca romana, entrambi affacciati sul mare.


Ed è proprio il Bianche Forme 2013, con uve provenienti dal vigneto più vecchio, con un’età media di 60 anni, che mi sono prosciugato. Vermentino 70%, Albarola 20%, Malvasia 10% è il mix di uve da cui prende vita il Bianche Forme, attraverso una pressatura soffice e fermentazione a temperatura controllata, affinamento in vasche di cemento per circa sei mesi e 2 in bottiglia. Poco più di 4000 bottiglie prodotte. Gradazione Alcolica 13.5%.


Se non fossi un indie wine blogger per pochi intimi ma un degustatore di Slow Wine (essere pagati per bere e scrivere anziché pagare per poter bere e cercare del tempo libero per scrivere…), non ci penserei due volte nel piazzare il Bianche Forme nella lista dei “vini quotidiani”. Spero di aver reso l’idea… perché questa è la sensazione che mi è rimasta a bottiglia svuotata… la sensazione di essermi imbattuto in un bianco a cui piace collocarsi al centro della tavola, che predilige farsi bere più che sorseggiare. 

Paglierino, limpido, magro, dinamico, diretto e schietto, spicca da subito per una marcata acidità, che soprattutto nei primi sorsi, domina un po’ la scena. Le uve coltivate in altura a ridosso delle Alpi, danno vita ad un bianco che denota le caratteristiche dei vini di montagna, ma “spruzzati” dalla salsedine del mare… vini freschi, tesi, minerali, amarognoli, erbacei, sapidi, lasciando in sottofondo le sensazioni più morbide e solari, la dolcezza “tropical” del frutto maturo.Tipicamente Vermentino.


Non gli manca sicuramente il carattere, forse un po’ di equilibrio e finezza. Per rendere l’idea, il Forme Bianche mi ha un po’ ricordato i Vermentini di Andrea Kihlgren di Santa Caterina e prendetelo come un complimento. Le carte in regola per diventare grande sembra averle tutte, forse è solo questione di tempo, di mettersi in spalla un po’ di vendemmie ed esperienze. O forse no, perché mi piace pensare che a Terre Apuane, piaccia presentare un vino dallo spirito adolescenziale, non alla ricerca della perfezione, ma di un vino vivo e scalpitante, espressione diretta e senza fronzoli di un territorio e della sua annata, di se stessi e della propria indole di vignaiolo e contadino.


Prima di concludere permettetemi un consiglio…. Se siete frequentatori dei vari Critical Wine, potrà capitarvi di incontrare i ragazzi di Terre Apuane e i loro vini, ed oltre a riempire bicchieri, li troverete intenti a tagliare fettine di un lardo che recuperano da un produttore delle loro parti… (vorrei menzionarlo ma non ricordo più il nome… ). Io ne ho comprati due pezzi giusto per non sbagliare…. Ho stappato la bottiglia di Bianche Forme bella fresca, preso un coltellaccio e giù a tagliare il lardo fettina dopo fettina, un abbinamento “commovente”, ideale per staccare la spina un paio d’ore e fare pace con il mondo. Dimenticavo… 10 euro al banco assaggi e da “flyerista” non posso che apprezzare la creativa linea grafica delle etichette. A me "Terre Apuane" stanno simpatici.

martedì 19 maggio 2015

BAROLO "LA SERRA" 2007 - D.O.C.G. - Massimo Penna Cascina Casanova



...immaginate il vostro naso nel bicchiere come il vostro occhio che scruta il forellino del caleidoscopio… passate il tempo facendo roteare il tubo per lasciarvi coinvolgere ed emozionare dalla continua sequenza di colori mutanti che sfumano e si intrecciano l’uno dentro l’altro...


A Massimo Penna viticoltore in Cascina Casanova, frazione Como comune di Alba, ho già dedicato un post alcuni anni fa, quando in quel luogo fuori dal tempo che è il Ristorante L'altra Isola di Milano (consiglio… andateci almeno una volta nella vita… i più modaioli lo troveranno fuori tempo massimo, ma posso garantire sul miglior risotto all’ossobuco di Milano!!) per caso incontrai la sua Barbera “Sessantaparte”. Qualche giorno dopo la pubblicazione di quel post, mi arriva una mail del sig. Penna in persona, che molto gentilmente mi rileva qualche informazione in merito al Sessantaparte e mi invita all’assaggio del suo Barolo. Ci mancherebbe… si è mai visto uno che rifiuta una bottiglia di Barolo?  Da curioso invio subito un paio di mail, per chiedere informazioni sulla cantina e la produzione di Barolo, ma non riceverò più alcuna notizia dal sig. Penna. Ho cercato e ricercato informazioni su questo produttore, guide, libri, blog, siti internet… niente di niente... 


Quindi mi metto l’anima in pace, rinchiudo in cantina la bottiglia per qualche anno (chiedo scusa al sig. Penna per aver atteso tutto questo tempo, ma è pur sempre un Barolo…), ed ora, praticamente alla cieca, ho una sola certezza… ovvero il Barolo La Serra 2007 che ho stappato e scolato un paio di giorni fa è “soggettivamente” molto valido, espressione fedele del nome che porta. In una sola parola, buonissimo. Difficile rendere l’idea tramite il solito e ormai noioso esame organolettico, che difficilmente rende giustizia al vino, alle fatiche del produttore e alle emozioni del bevitore. Riprendendo ancora un passaggio di Soldati da Vino al Vino “Dirò subito che mi considero anch’io, del vino, un amatore inesperto”, quindi impressioni emozionali da amatore del vino, e niente giudizi da barolisti esperti..  (avete presente quei tizi a cui basta un sorso per capire comune e cru di provenienza? Ecco io li non ci arrivo…). 


Riassumendo ecco le mie impressioni sul Barolo ”La Serra” 2007… Leggermente incupito al centro, sfuma nel classico granato da nebbiolo invecchiato, volteggia elegante, oserei definirlo signorile se mi passate il termine… Poi mi sono perso e ri-perso dentro al bicchiere, un esplosione caleidoscopica “multicolor” in continua evoluzione, per niente timida, molto intrigante. Penso che il termine possa rendere bene l’idea… immaginate il vostro naso nel bicchiere come il vostro occhio che scruta il forellino del caleidoscopio… passate il tempo facendo roteare il tubo per lasciarvi coinvolgere ed emozionare dalla continua sequenza di colori mutanti che sfumano e si intrecciano l’uno dentro l’altro. Colori pieni, vivi, brillanti, carichi… eccolo qua il Barolo di Penna… Intenso, lungo, persistente… quasi vigoroso appena infili il naso nel bicchiere, vinoso, pungente, acuto, alcol presente e riscaldante (15%vol.)… e poi via ad un “trip” tra frutti rossi, spezie piccanti, viole appassite, ma soprattutto i profumi terziari, quelli più eterei e balsamici a coinvolgere, in particolare nel bicchiere del giorno dopo, quando tutto appare più rilassato ed elegante, tra sensazioni “mentolate” e richiami autunnali. Il tutto da vita ad un bouquet decisamente avvolgente. 

Strutturato e persistente, dal sorso asciutto e tannico (allappa un po’ al primo passaggio), via via sempre più piacevole, pulito, scivoloso, lungo, verticale, senza rinunciare ad una “textur” leggermente sgranata, un sussulto terroso e un po’ ruvido, per completare una bevuta degna del nome che porta. 


Quindi pollice all’insù, per questo Barolo ben fatto, mantenendo quei tratti distintivi e territoriali che sempre vorrei ritrovare nel Nebbiolo più nobile. Ripeto, non so nulla su come sia stato realizzato, ne su come lavora il sig. Penna… e a questo punto poco me ne importa, perché così alla “cieca” ho trovato il suo Barolo semplicemente buonissimo, me lo sono goduto e ne avrei voluto ancora… e questo mi basta.


Se qualcuno ha avuto modo di berlo o ha qualche info in merito… come sempre è il benvenuto… Se invece volete provarlo, posso darvi l’unica info che ho recuperato… on-line è venduto intorno alle 60 euro. Bella eno-esperienza…

domenica 10 maggio 2015

VITA GRAMA 2004 - Vino da tavola rosso - Casa Caterina



...e quel nome “Vita Grama”, mentre posi ridente e soddisfatto la bottiglia svuotata sul tavolo, ti pare quasi un ossimoro.


In uscita da Milano, direzione sud, lungo la linea retta del Naviglio Pavese, poche centinaia di metri più avanti dall’ultima fermata della metropolitana, linea rossa stop Abbiategrasso, li dove la città si è mangiata la campagna e gli orti, sulla destra del naviglio incontriamo l’orto con cucina “Erba Brusca”, (leggi qui), uno dei posti dove meglio ho mangiato e bevuto ultimamente. Sempre in uscita da Milano, direzione sud, questa volta però lungo la linea retta del Naviglio Grande, fino ad incontrare l’abitato di Gaggiano, piccolo e pittoresco paese immerso nell’area agricola sud di Milano, tra campi, risaie e vecchie cascine. Questa è la patria del milanese in uscita dalla città... la meta più vicina per vedere l’orizzonte e non essere soffocati da palazzi e traffico urbano. Non solo il luogo ideale per chi ama campagna e piste ciclabili, ma anche meta imprescindibile per gli amanti della forchetta, in virtù di una quantità non indifferente di agriturismi, osterie e ristoranti vari.

Alcuni di questi si segnalano per la loro lunga storia e per alcuni piatti particolarmente riusciti, per questo motivo mi sono recato all’Antica Osteria Magenes, per provare il suo decantato risotto alla milanese… e posso confermare che il piatto merita il viaggio. Come avrete capito la cucina varia tra i piatti della tradizione lombarda ed altri più innovativi, forse anche con qualche eccesso “esibizionistico” nell’impiattamento (ma a qualcuno potrebbe piacere…). Sicuramente è un ristorante curato, che va a schierarsi tra quelle osterie moderne che tanto piacciono alla borghesia milanese e che poco hanno da condividere con termini “popular” come trattoria e osteria, dove l’ambiente dovrebbe essere spartano e meno ingessato…  insomma quello che ti aspetteresti da un’osteria situata a Barate di Gaggiano, tra quattro case circondate dalle risaie. 

Non mi dispiace il rinnovamento stilistico, decisamente meglio del solito agriturismo dove si sfornano centinaia di piatti da un pentolone, però diciamo che il cameriere in papillon può risultare un po’ eccessivo, e la giovanile informalità dell’ Erba Brusca ha decisamente un altro scatto (giudizio ovviamente soggettivo). Detto questo, si mangia bene e si spende il giusto per la qualità della proposta e il servizio…  Vi ho già segnalato l’imperdibile Risotto Milano 2010, così come vi consiglio di pescare da una carta dei dessert molto interessante, l’eccelsa spuma di cioccolato bianco, con frutti di bosco, fiori commestibili e bottarga di tonno. Un mix di dolce-salato tridimensionale. 

Per concludere quello che più interessa a noi bevitori e a chi scorazza su Simo diVino… la carta dei vini è ok, niente “sola” come purtroppo capita in molti ristoranti. Niente di monumentale (per fortuna), ma ben composta con alcune proposte “artigianali” interessanti e ricarichi non troppo eccessivi. Decido quindi di pescare dalla Franciacorta… terra di bollicine eccellenti, optando per un rosso, visto che in passato da Pietro Leemann, più dei suoi piatti new age, fu il cabernet franc La Beccaccia di Michele Loda, altro eccelso vignaiolo “artigianale” di Monticelli Brusati ad entusiasmarmi. Dopo tanto averne sentito parlare, mi sorprende vedere in carta, in questa osteria un po' fighetta, il Vita Grama 2004 di Casa Caterina, che come potete osservare dalla retro etichetta, è una chicca prodotta in pochissime bottiglie. 

I fratelli Del Bono Aurelio ed Emilio, sono giustamente apprezzati x le loro “bollicine naturali” (non sono un amante del genere, ma in suolo italico le bollicine di Casa Caterina, Cà del Vènt e Il Pendio sono tra le migliori che mi sia capitato di bere…), così come per le loro scelte decise e radicali, non solo per l’artigianalità e la naturalità dei loro metodi (qui si pratica agricoltura biodinamica), ma anche per la loro dissidenza, tra cui la rinuncia alla D.O.C.G. e alla fama del marchio Franciacorta. A ragione quindi, sentiamo spesso parlare di questa piccola cantina (7 ettari suddivisi in parcelle e ventimila bottiglie), come di “altra Franciacorta”, “Franciacorta eno-dissidente”, “Franciacorta underground” ecc…  

Tornando al Vita Grama... non avessi conosciuto e apprezzato i loro vini in giro per le fiere, probabilmente non avrei mai dato fiducia ad un rosso bordolese prodotto in terra di bollicine. Due cose per cui non impazzisco messe insieme. Aver bevuto La Beccaccia, mi ha fatto ricredere, perché quando un vignaiolo lavora bene e in maniera rispettosa, si possono realizzare rossi strepitosi anche da queste parti. 

Basta quindi uno sguardo all’etichetta “casalinga” con primo piano sulle mani “contadine” del padre, pensare all’esigua quantità di bottiglie prodotte, il lungo invecchiamento in cantina (l’annata bevuta, 2004, dovrebbe essere l’ultima uscita), per capire che a Casa Caterina, non si producono vini scontati, casomai estremi e coraggiosi. La retro etichetta scritta a mano, racconta di un assemblaggio con predominanza di merlot, di un esiguo numero di bottiglie prodotte e di una gradazione alcolica contenuta sui 12.5 gradi. Non conosco il processo produttivo, ma si tratta di un lento invecchiamento sui lieviti, con legni usati e tanto acciaio. Ne deriva un “bordolese” che si discosta dal suo concetto classico, siamo distanti sia da Bordeaux che da Bolgheri, ma soprattutto da quel concetto di super blend barricato. 

Ne deriva un vino semplice e a tratti rustico, non tanto nel senso stretto del termine, più che altro pensando ad una beva assassina, per un vino che vista la carta d’identità, riesce ad esprimere la freschezza e la bevibilità di un vino “quotidiano”, di un vino a cui nonostante tutto, la dicitura “vino da tavola” calza a pennello. Al di là di alcuni rimandi bordolesi avvertibili al naso, intriga per il suo colore inchiostrato, l’energia e la tensione che sprigiona, i rimandi terrosi, le note speziate, il frutto succoso. Mai stanco e sorretto da una spinta acida che trasformano un potenziale mammut  in un vino glu glu. 

Sarò ripetitivo, ma anche per chi come me, predilige vini più scarni, esili e scoloriti, diventa impossibile non inserire il Vita Grama nella lista dei vini del cuore, quei vini rari e un po’ “indie”, che se hai la fortuna di incontrare in osterie, appena lo ordini deciso e convinto, il sommelier capisce subito di che pasta sei fatto, ed evita di intortarti con mirabolanti descrizioni organolettiche per eno-fighetti… E quel nome “Vita Grama”, mentre posi ridente e soddisfatto la bottiglia svuotata sul tavolo, ti pare quasi un ossimoro.