Sui bianchi macerati e affinati in legno... rendono giustizia al vitigno?? Questione di metodo o stile?? Sono combattuto... e questa Vitovska non mi chiarisce le idee...
Alcuni
mesi fa, mi trovavo sotto il portico di casa Zanusso con il sig. Ferdinando,
alias "I Clivi", a mirar vigneti e sorseggiare gli eccellenti vini
bianchi da lui prodotti. Ad un certo punto, mi sono permesso di chiedere come
mai in una regione conosciuta per i bianchi “trattati come i rossi”, loro
puntassero sulla vinificazione tradizionale con l'ausilio esclusivo
dell'acciaio, il contenitore che meno influisce sulle caratteristiche del vino.
Risposta convinta del sig. Zanusso... << ritengo che questo sia il modo
migliore per realizzare vini il più fedeli possibili al vitigno e al terroir
>>. Macerazioni no grazie, e botti di legno solo per i rossi. Quindi,
anche se per pochi giorni, il contatto con le bucce, tende comunque ad alterare
il vino, non solo nella struttura e nella materia, ma anche all'olfatto e al
gusto, con sensazioni retrogustative spesso simili anche in vini che dovrebbero
essere molto differenti.
Come
darle torto mentre mi concedo un bis della sua incredibile Ribolla, così
leggera, scolorita, fresca, bevibile… Eppure
per correttezza e sincerità, ho voluto sottolineare che a me i bianchi macerati
non dispiacciono affatto, purché ben fatti... Cito la Ribolla di Terpin...
ovviamente diversissima dalla sua... ma altrettanto fantastica e a suo modo
molto territoriale... (il sig.Ferdinando mi conforta esclamando << beh,
Terpin é uno che lavora bene>>), così come non posso negare a me stesso, di
aver bevuto e goduto in compagnia di tanti altri bianchi color "buccia di
cipolla". Ma da quel giorno il cruccio mi è rimasto... e ogni volta che bevo
un bianco macerato, mi chiedo, al di là del gusto personale, se quel vino riesce
ad essere espressione diretta e veritiera del vitigno e del territorio.
Anche
perché ho la sensazione che oggi sia di moda proporre almeno un bianco fatto
come un rosso e non mi riferisco solo ai produttori “naturali”… Si stanno forse
commettendo gli stessi errori fatti con i rossi "americanizzati" al
gusto, e quindi con delle similitudini più o meno accentuate anche su vitigni
differenti e distanti centinaia di chilometri?? Come sempre la complessità e le
variabili dell'eno-world mi lasciano combattuto e non ho una risposta certa da
darvi, dopo tutto sono qui a raccontare esperienze e non a dare risposte.
Il
cruccio mi è tornato al cospetto di questa bottiglia avuta in regalo
(ringrazio!) di Trubar, una Vitovska macerata e affinata in legno, prodotta da
una giovane realtà di San Michele del Carso (Gorizia), il Castello di Rubbia,
che nasce sul finire degli anni 90 come progetto enoturistico. Questo significa
"turismo nobile" attraverso la ristrutturazione del castello, un
resort (leggo dal sito) “con un'antica cappella che sarà adibita per
celebrazioni religiose, mentre le altre strutture adiacenti saranno destinate
al ristorante, all’albergo dependance, alla sala congressi, al centro benessere
con piscina e ai campi da tennis”. Passiamo alla parte che più ci interessa,
ovvero quel "eno" davanti a turismo, 13 ettari vitati in media
collina a quote comprese tra i 90 e i 150 metri, circondati dai boschi
all'interno di una vallata carsica, con predominanza di vitigni autoctoni come
vitovska, malvasia e terrano, più una piccola parte di cabernet sauvignon,
tutti di recente impianto. A gestire il tutto la famiglia Černic, con la figlia
Nataša ad occuparsi della produzione di vino.
Entrando
nel merito il Trubar (il nome deriva da Primoz Trubar letterato sloveno,
pastore cattolico e poi protestante che in questo castello soggiornò), trattasi
di una vitovska in purezza, le cui uve sono vendemmiate tra fine settembre ed
inizio ottobre. Macerazione sulle bucce a temperatura controllata per alcuni
giorni in acciaio inox, cui segue la fermentazione spontanea con lieviti
autoctoni e l’affinamento in barriques e tonneaux di rovere di slavonia e acacia
per 12-18 mesi. Il vino si stabilizza in acciaio e, dopo l’imbottigliamento,
avviene un secondo affinamento in bottiglia per almeno 12 mesi prima della
commercializzazione. Un bianco importante quindi, adatto anche ad
invecchiamenti piuttosto lunghi, non a caso viaggia tra le 20-25 euro in
enoteca, una fascia di prezzo medio-alta per un vino bianco. Annata 2008 e
gradazione alcolica sui 13°.
Nel
bicchiere nessuna tendenza “orange”, ma un giallo oro piuttosto intenso e
brillante, pulito e leggermente viscoso. Aristocratico. Quindi già all’aspetto
nessun estremismo punk a confermare una macerazione piuttosto breve. Naso
intrigante, incisivo e persistente, senza eccessi saturanti. E’ ben bilanciato
e nonostante non sia più giovanissimo, rimangono intatte ed incisive le note
“carsiche” spiccatamente minerali, rocciose, saline, così come le note
verdeggianti, erbacee, fiori di campo… il tutto smorzato da un frutto piuttosto
maturo, rinforzato dalla macerazione e dai legni, che conferisce ampiezza
olfattiva attraverso sfumature dolciastre e leggermente affumicate, con
richiami di mandorle amare e spezie. Anche la beva è decisamente piacevole,
vini dritto e verticale, piacevolmente sapido e con acidità sostenuta ma
perfettamente integrata e mai sopra le righe. Non manca in “sostanza”, con
sensazione “materica” al palato, che arrotonda la beva e smussa gli spigoli,
dando complessità ed importanza al sorso, anche se personalmente, una leggera
sensazione dolciastra sopra le righe figlia di un frutto a pasta gialla e leggermente
tropicalista maturo e polposo, lo rendono un po' scontato. Lungo e pulito nel finale, leggermente
amarognolo, con ritorno alle note minerali e floreali.
Questa
vitovska non mi è dispiaciuta, alla beva si ha la sensazione del vino
importante, anche la scelta di una macerazione “non forzata” ha il suo perché e
non stravolge troppo il vino. Quello che meno mi ha convinto è la scelta dell’
affinamento in legno, che sicuramente ha ammorbidito e arrotondato la beva,
rendendola piacevole, ma manca un po’ in finezza ed equilibrio, ed anche al
gusto, per chi come il sottoscritto è tendenzialmente “mineralista”, avrei
preferito trovarmi un vino più spinto e tagliente, soprattutto in una terra di
roccia e bora come il Carso. Rimane la personale sensazione di un Carso meno rurale e
più “resort”. Alla prossima macerazione…..