Serdiana prov. di Cagliari, a pochi metri da dove nasce il vino status symbol dell'enologia sarda, troviamo una bella realtà di bio-resistenza contadina...
Inizio il post con una frase rubata dalla guida al "Vino Critico" curata da Officina Enoica, frase che mi ha obbligato a commissionare a nordisti vacanzieri in uscita dal continente, la ricerca dei vini di Altea Illotto, difficilmente recuperabili in questa terra di confine italo-svizzera in cui mi trovo.
"Il vino è come uno specchio. Riflette tanto chi lo produce quanto chi lo consuma". E allora se questo è un indie wine-blog, "do it yourself" e "100% homemade", allora non posso che rispecchiarmi (almeno negli intenti) nel lavoro e nella filosofia produttiva di Maurizio Altea e Adele Illotto. Con i loro 6 ettari vitati a Serdiana in provincia di Cagliari, sono un bel esempio di agricoltura naturale senza compromessi, di contadinità fortemente legata al territorio e alla volontà di resistere a qualsiasi forma di omologazione del gusto (che si manifesta a solo 5 minuti di strada dalla cantina di Maurizio e Adele dove nasce il famoso Turriga), da quei vini sardi "toscanizzati" e internazionalizzati dalla mano di Tachis.
Non è anche forse questa una bella storia di resistenza contadina, di contrapposizione alla moda e alle esigenze del marketing?? Non è forse la loro adesione partecipata al movimento dei "Bio Resistenti dei sapori", un ulteriore dimostrazione della volontà di proporre vino autentico e rispettoso lontano da qualsiasi concetto di vino "massivo" o ancor più innalzato a staus symbol per le tasche di pochi??
Inizio il post con una frase rubata dalla guida al "Vino Critico" curata da Officina Enoica, frase che mi ha obbligato a commissionare a nordisti vacanzieri in uscita dal continente, la ricerca dei vini di Altea Illotto, difficilmente recuperabili in questa terra di confine italo-svizzera in cui mi trovo.
"Il vino è come uno specchio. Riflette tanto chi lo produce quanto chi lo consuma". E allora se questo è un indie wine-blog, "do it yourself" e "100% homemade", allora non posso che rispecchiarmi (almeno negli intenti) nel lavoro e nella filosofia produttiva di Maurizio Altea e Adele Illotto. Con i loro 6 ettari vitati a Serdiana in provincia di Cagliari, sono un bel esempio di agricoltura naturale senza compromessi, di contadinità fortemente legata al territorio e alla volontà di resistere a qualsiasi forma di omologazione del gusto (che si manifesta a solo 5 minuti di strada dalla cantina di Maurizio e Adele dove nasce il famoso Turriga), da quei vini sardi "toscanizzati" e internazionalizzati dalla mano di Tachis.
Non è anche forse questa una bella storia di resistenza contadina, di contrapposizione alla moda e alle esigenze del marketing?? Non è forse la loro adesione partecipata al movimento dei "Bio Resistenti dei sapori", un ulteriore dimostrazione della volontà di proporre vino autentico e rispettoso lontano da qualsiasi concetto di vino "massivo" o ancor più innalzato a staus symbol per le tasche di pochi??
Potrei concludere qui il post, perché questo è il classico caso in cui le persone e il loro modo di interpretare il lavoro agricolo, sono ancor più importanti di qualsiasi noiosissima considerazione organolettica. Per dovere di cronaca, questi vignaioli "homemade" imbottigliano dal 2000 due versioni di vino denominate Altea Bianco e Altea Rosso, con numeri "garagisti" che si aggirano sulle 6.000 bottiglie l'anno. Dal raro e antico vitigno Nasco nasce il bianco, con aggiunta di uve Vermentino, mentre dagli autoctoni Cannonau e Carignano nasce il rosso, entrambi appartenenti all'indicazione geografica Sibiola, la più piccola della Sardegna.
I vigneti ultra-ventennali sono allevati nelle basse colline di Serdiana, contraddistinte da suoli marnosi, calcarei e argillosi, e condotti a regime biologico (certificato) dal lontano '93, quando ancora il termine bio non faceva tendenza. Anche in fase di vinificazione si opera in maniera tradizionale e senza trucchi, con lieviti naturali e bassissimi livelli di solforosa. Per l'Altea Rosso, fermentazione spontanea, poco più di una settimana di macerazione e 7 mesi di maturazione sui lieviti in vasche di acciaio, con affinamento finale di un paio di mesi in bottiglia.
Un rubino scuro che tende al mattone, per un vino di buon corpo che si contraddistingue soprattutto per una beva semplice e succosa, dove la maturità del frutto rosso, selvatico e boschivo, è ben accompagnata da note piccanti e una spinta acida che lo tengono sempre vivo e dinamico. Un vino che oserei definire (sicuro di non essere smentito...) più da bicchiere che da calice, più da oste che da chef, da bere senza controllo in abbinata ai piatti della tradizione, di quelli "unti e bisunti" dove non si guarda con disprezzo al grasso e non si pensa ai tempi della digestione. L'Altea Rosso ha tra le sue prerogative un sorso che rinfresca e pulisce, ma soprattutto non appesantisce... perfetto abbinato al maialino sardo o come ho fatto io in un improbabile testa-coda con un piatto della tradizione lombarda come la casoeûla, a pulire il palato da costine, cotenne e verze.
Leggete bene l'etichetta... "Vitigni tradizionali e lieviti naturali per un vero vino Sardo". Artigianle, territoriale, naturale, conviviale, per tutte le tasche (sulle 12 euro)... in una sola parola come lo definiscono i ragazzi di Officina Enoica... un vino critico.
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