Who is the king of Ruchè? I numeri parlano chiaro… la corona è ben salda sulla testa di Luca Ferraris.
Per
una serie di coincidenze mi ritrovo nell'arco di pochi giorni a stappare tre
bottiglie di Ruchè dell' agricola Ferraris, fatto non del tutto scontato
considerando che per molti, anche tra gli eno-appassionati, questa piccola
D.O.C.G. del Monferrato dalle origine misteriose, è ancora poco conosciuta e numericamente
piccola, rispetto di più blasonati vitigni piemontesi e monferrini, dalla
Barbera al Grignolino, il Dolcetto fino a sua maestà il Nebbiolo.
Probabilmente
importato dalla Borgogna da alcuni monaci che lo hanno impiantato in queste
zone radicandolo nel territorio, tanto da considerarsi a tutti gli effetti
vitigno autoctono, rimane ancora poco chiara l'origine del suo nome. Inutile
perdersi nella nebbia del passato, meglio ancorarsi alle certezze, a partire
dal comune di Castagnole Monferrato, piccolo borgo incastonato tra il
Monferrato Astigiano e quello Casalese, immerso tra le dolci colline vitate e
patria indiscussa di questo vino di nicchia. Rischiata l’estinzione, possiamo
far risalire alla fine degli anni '70 la rinascita di questo vitigno, salvato
grazie a Don Giacomo Cauda, parroco di Castagnole... Da quei pochi filari è
ripartita la viticoltura del Ruchè, in un continuo crescendo che porterà alla
D.O.C. nel 1987 e alla D.O.C.G. nel 2010, a testimonianza non solo delle
indiscusse qualità di questo vitigno, ma anche del lavoro svolto dai
viticoltori monferrini che hanno creduto ed investito su questo vitigno
autoctono.
Merito
anche degli appassionati, che nel corso degli anni hanno spostato la propria
attenzione sui vini territoriali e le produzioni di nicchia, ha creato attenzione
e perché no, anche un certo mercato intorno al Ruchè, che oggi può vantare
riconoscimenti anche al di fuori del suolo italico. Possiamo ancora definirla
una denominazione "minore" ma bisogna riconoscere come nell'ultimo
decennio siano in continua crescita sia gli ettari vitati, abbondantemente
sopra i 120, sia gli ettolitri prodotti.
Tra
i vari viticoltori è indiscutibile il ruolo di “The King” di Luca Ferraris, colui che dal 1999,
ereditata l’azienda agricola di famiglia, più di ogni altro ha creduto ed investito
in questo vitigno, tanto che oggi piazza sul mercato ben tre versioni di Ruchè,
con oltre 100.000 bottiglie ad esso dedicate, il che rappresenta una cospicua
fetta della produzione annuale (180.000 bottiglie).
Attualmente
le 3 versioni di Ruchè proposte portano il nome di Bric D'Bianc, Clàsic (ex
“firmato”) e Opera Prima. Partiamo da quest'ultimo, il pezzo pregiato, che
purtroppo non ho avuto ancora modo di assaggiare. E' il Ruchè dedicato al
"fondatore", ovvero Martino Ferraris nonno di Luca. E' il cru
aziendale, ricavato da un vecchio vigneto con la migliore esposizione nel
comune di Castagnole. Rese bassissime (35ql/ha), lunga fermentazione e 24 mesi
di affinamento in tonneaux di rovere da 500 litri di secondo passaggio. Un
ulteriore anno in bottiglia, che riposano in una suggestiva cantina scavata nel
tufo. Prima annata prodotta nel 2007, bella etichetta vintage, chiusura in
ceralacca e prezzo di mercato sopra le 20 euro. Rappresenta sicuramente un vino
unico che porta indietro alla memoria, una di quelle bottiglie che è un piacere
lasciare in cantina ad impolverarsi in attesa della giusta occasione..
Passando
ai 3 vini che mi sono trincato... perché come spesso amo ricordare, qui i vini
si bevono, non ci si bagna la gola per poi riempire la sputacchiera. Voglio
partire da quello che più mi è piaciuto, tanto da consigliarvelo ed inserirlo
in quella categoria di vini dal rapporto qualità/prezzo entusiasmante, ovvero
il Bric D'Bianc 2013. Prende il nome dalla collina (in zona particolarmente
vocata) su cui sorgono i vigneti che conferiscono le uve da cui poi si ricava
questa versione, che per quanto mi riguarda, rappresenta l'espressione classica
del Ruchè, quella che meglio rappresenta l'essenza del vitigno. E questa è
anche la volontà di Ferraris, attraverso l'utilizzo in tutte le fasi della
vinificazione di solo acciaio, proprio per preservare il carattere dell’uva.
Un
Ruchè tipico quindi, giovane e di pronta beva, da scolarsi senza ritegno.
Dritto e teso, con un tocco di tannicità e austerità che caratterizza il Ruchè
in gioventù, si dimostra grintoso, senza rinunciare ad una grande piacevolezza
nel sorso, con un frutto vivo e succoso, a cui non mancano i richiami floreali
di geranio e rosa canina. Piacevolissimo a tavola, trasversale negli
abbinamenti e dal sorso assassino. Glu, glu, glu... tanta soddisfazione e poche
seghe mentali. Non mi nascondo dietro ad un dito, non compilo tabelle AIS, il
vino per me è impatto ed emotività... nuance, equilibrio, rotondità,
morbidezza, avvolgenza mi interessano fino ad un certo punto, e non è un caso
che uno dei miei Ruchè preferiti porti la firma "naturalista" (e a
volte controversa tra gli espertoni) di Nadia Verrua. Il Bric D'Bianc 2013 che
ho bevuto mi ha convinto a pieno, impedendomi di avanzare il classico bicchiere
del giorno dopo.
Le
altre due bottiglie che ho stappato sono sostanzialmente il medesimo vino.
Ruchè “firmato” annata 2013 che diventerà "Clàsic" nel 2014. In
questo caso la vinificazione avviene in tini di rovere da 54 ettolitri a
temperatura controllata, per 15 a 20 giorni. Finita la fermentazione, il vino
affina per 6-10 mesi all’interno di questi tini. Si avvertono sostanziali
differenze rispetto la Bric... c'è più corpo, struttura e concentrazione, vino che
viaggia su tinte più scure, meno solare e più incupito (soprattutto il 2013,
mentre il 2014 mantiene una luminosità e una grinta tipicamente giovanile), che
si segnala (più il 2014) per un naso particolarmente pungente, ricco di sentori
speziati, piccante nelle note di pepe bianco, cannella, chiodi di garofano.
Beva più tondeggiante rispetto al Bric, meno fresca e dinamica, con qualche
eccesso di alcol e legno. Mi è piaciuto (soprattutto nel 2014), il gioco di
equilibri tra morbidezza, rotondità e avvolgenza da una parte, e l'irruenza
indomabile tipica del Ruchè che vien fuori e rende la beva comunque grintosa.
Più maturo il "firmato" 2013, ma che alla fine è forse la bottiglia
meno convincente delle tre provate, quello con meno appeal, più faticoso nel
sorso e alla lunga un po' seduto, senza quel tocco di giovanil furore che mi
piace ritrovare nel Ruchè.
In
generale 3 bottiglie convincenti, ma soprattutto 3 bottiglie tecnicamente ben
fatte, senza tradire il carattere del vitigno. Poi a vostro gusto scegliere la
versione che preferite. Who is the king of Ruchè? I numeri parlano chiaro… la
corona è ben salda sulla testa di Luca Ferraris.
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