Vino autoctono del Bellunese... il valore aggiunto di De Bacco risiede nella salvaguardia dell'autenticità.
Dopo due bianchi torno a scrivere di vino rosso e lo faccio con una bottiglia molto interessante, prodotto da una cantina in ascesa, che negli ultimi anni é riuscita a guadagnarsi l'attenzione degli eno-appassionati. Mi interessa ed incuriosisce questa realtà vitivinicola per una serie di motivi che hanno stimolato la mia curiosità da eno-spugna, sempre pronta ad assorbire e scoprire nuove interessanti realtà...
Procedendo con ordine, partiamo dal luogo in cui é situata la cantina dell'Agricola De Bacco, ovvero Feltre... Seren del Grappa per essere precisi, in provincia di Belluno. Una zona di sicuro interesse storico, naturalistico ed eno-gastronomico, ma indubbiamente se pensiamo al vino in quest'area geografica, subito la mente si sposta una trentina di kilometri a sud, seguendo il corso del Piave, fino ad arrivare a Valdobbiadene. A ridosso delle dolomiti bellunesi invece, poco da segnalare, anche se da queste parti la viticoltura é pratica remota e non a caso la vinicola De Bacco ha radici antiche che risalgono ai primi del '900.
Siamo in un territorio dove fillossera prima e scelte agricole/commerciali discutibili poi, hanno portato alla scomparsa "quasi" totale dei vitigni autoctoni. Grazie al lavoro lungimirante di alcuni vignaioli, qualche appezzamento é resistito fino ai giorni nostri ed il grande merito di questa cantina, sta proprio nella volontà e capacità di credere ed investire nella valorizzazione dei vitigni storici... é così che oggi possiamo scoprire uve poco conosciute come Pajalonga, Pavana, Trevisana Nera e la Bianchetta.
L'opera di recupero e valorizzazione di questo piccolo e artigianale patrimonio vitivinicolo, é iniziata nel 2007 grazie alla dedizione e al lavoro dei poco più che ventenni Marco e Valentina, ultima generazione della famiglia De Bacco... dimostrazione del ruolo fondamentale rivestito dalle giovani leve, volenterose di scrivere il proprio futuro partendo dalle radici.
Tra uve locali e altre di taglio internazionale (Merlot e Chardonnay), i vigneti sono disseminate in piccoli appezzamenti che sorgono a ridosso delle Dolomiti, su terreni ghiaiosi e calcarei. Attualmente sono i 5 vini prodotti, tra bianchi, rossi e i due metodi Charmat, per un totale di circa 20.000 bottiglie, prodotte grazie ad una conduzione attenta e artigianale, con trattamenti limitati in vigna e utilizzo di solforosa ridotto.
Il vino che vado a stappare si chiama Vanduja, annata 2011, il cui particolare nome deriva da Bepi Vanduja, precursore della cantina De Bacco. E' il loro rosso autoctono, ottenuto dall'assemblaggio delle uve tipiche del feltrino come Pavana e Trevisana nera. Rese basse (trai 30-50 ql/ha) con raccolta e selezione manuale delle uve, a cui segue la tradizionale vinificazione in rosso in vasche d'acciaio, con macerazione a temperatura controllata prolungata fino a 25 giorni. Ultimata la malolattica, due mesi di maturazione in acciaio e due in barriques. Gradazione alcolica di 12.5% vol., bottiglia di bella presenza estetica e prezzo di acquisto che si aggira sulle 15 euro in enoeca.
Color rosso rubino con sfumature porpora, pulito e piuttosto elegante. Naso deciso, vinoso e pungente, ma é una folata, si distende su note piuttosto dolci di frutta rossa e spezie con leggero sottofondo erbaceo-vegetale. Non un ventaglio olfattivo particolarmente ampio, ma comunque apprezzabile, invoglia al sorso. La beva gioca molto sulla piacevolezza, si lascia bere con una certa leggerezza e scorrevolezza, unita ad una polpa appagante e una trama tannica pungente, che non ne scalfisce una complessiva sensazione di morbidezza e rotondità. Il finale torna sulle note dolciastre di frutto e vaniglia... di buona persistenza.
Nel complesso il vino mi é piaciuto... sicuramente ben fatto, tecnicamente senza difetti, convince e lascia soddisfatti, si finisce la bottiglia senza fatica, mantenendo un buona tensione gustativa. Di contro mi aspettavo un vino più "rustico" e meno "piacione", con qualche spunto di originalità in più, in virtù anche della particolarità delle uve utilizzate. Come dire, più "sanguineo", magari anche a discapito della precisione stilistica e della piacevolezza, in grado di marcare maggiormente l'identità territoriale. Sono queste, considerazioni puramente personali, essendo la prima volta che assaggio un vino ricavato da queste uve. Speriamo che in futuro si continui a puntare su l'autoctono, magari con nuovi vini (penso ad esempio alla possibilità di vinificare distintamente le uve), così da proseguire l'interessante percorso di valorizzazione iniziato.
Per quanto mi riguarda una bella scoperta e buon vino, che mi sono gustato con grande piacere.
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