...e quel nome “Vita Grama”, mentre posi ridente e soddisfatto
la bottiglia svuotata sul tavolo, ti pare quasi un ossimoro.
In
uscita da Milano, direzione sud, lungo la linea retta del Naviglio Pavese, poche
centinaia di metri più avanti dall’ultima fermata della metropolitana, linea
rossa stop Abbiategrasso, li dove la città si è mangiata la campagna e gli
orti, sulla destra del naviglio incontriamo l’orto con cucina “Erba Brusca”,
(leggi qui), uno dei posti dove meglio ho mangiato e bevuto ultimamente. Sempre
in uscita da Milano, direzione sud, questa volta però lungo la linea retta del
Naviglio Grande, fino ad incontrare l’abitato di Gaggiano, piccolo e pittoresco
paese immerso nell’area agricola sud di Milano, tra campi, risaie e vecchie
cascine. Questa è la patria del milanese in uscita dalla città... la meta più
vicina per vedere l’orizzonte e non essere soffocati da palazzi e traffico
urbano. Non solo il luogo ideale per chi ama campagna e piste ciclabili, ma
anche meta imprescindibile per gli amanti della forchetta, in virtù di una
quantità non indifferente di agriturismi, osterie e ristoranti vari.
Alcuni
di questi si segnalano per la loro lunga storia e per alcuni piatti
particolarmente riusciti, per questo motivo mi sono recato all’Antica Osteria Magenes, per provare il suo decantato risotto alla milanese… e posso confermare
che il piatto merita il viaggio. Come avrete capito la cucina varia tra i piatti
della tradizione lombarda ed altri più innovativi, forse anche con qualche
eccesso “esibizionistico” nell’impiattamento (ma a qualcuno potrebbe piacere…).
Sicuramente è un ristorante curato, che va a schierarsi tra quelle osterie
moderne che tanto piacciono alla borghesia milanese e che poco hanno da
condividere con termini “popular” come trattoria e osteria, dove l’ambiente dovrebbe
essere spartano e meno ingessato… insomma
quello che ti aspetteresti da un’osteria situata a Barate di Gaggiano, tra
quattro case circondate dalle risaie.
Non
mi dispiace il rinnovamento stilistico, decisamente meglio del solito
agriturismo dove si sfornano centinaia di piatti da un pentolone, però diciamo
che il cameriere in papillon può risultare un po’ eccessivo, e la giovanile
informalità dell’ Erba Brusca ha decisamente un altro scatto (giudizio ovviamente
soggettivo). Detto questo, si mangia bene e si spende il giusto per la qualità della
proposta e il servizio… Vi ho già
segnalato l’imperdibile Risotto Milano 2010, così come vi consiglio di pescare
da una carta dei dessert molto interessante, l’eccelsa spuma di cioccolato
bianco, con frutti di bosco, fiori commestibili e bottarga di tonno. Un mix di
dolce-salato tridimensionale.
Per concludere quello che più interessa a noi
bevitori e a chi scorazza su Simo diVino… la carta dei vini è ok, niente “sola”
come purtroppo capita in molti ristoranti. Niente di monumentale (per fortuna),
ma ben composta con alcune proposte “artigianali” interessanti e ricarichi non
troppo eccessivi. Decido
quindi di pescare dalla Franciacorta… terra di bollicine eccellenti, optando per un rosso, visto che in passato da Pietro Leemann, più dei suoi
piatti new age, fu il cabernet franc La Beccaccia di Michele Loda, altro
eccelso vignaiolo “artigianale” di Monticelli Brusati ad entusiasmarmi. Dopo
tanto averne sentito parlare, mi sorprende vedere in carta, in questa osteria un po' fighetta, il Vita Grama 2004 di
Casa Caterina, che come potete osservare dalla retro etichetta, è una chicca
prodotta in pochissime bottiglie.
I
fratelli Del Bono Aurelio ed Emilio, sono giustamente apprezzati x le loro
“bollicine naturali” (non sono un amante del genere, ma in suolo italico le
bollicine di Casa Caterina, Cà del Vènt e Il Pendio sono tra le migliori che mi
sia capitato di bere…), così come per le loro scelte decise e radicali, non
solo per l’artigianalità e la naturalità dei loro metodi (qui si pratica
agricoltura biodinamica), ma anche per la loro dissidenza, tra cui la rinuncia
alla D.O.C.G. e alla fama del marchio Franciacorta. A ragione quindi, sentiamo
spesso parlare di questa piccola cantina (7 ettari suddivisi in parcelle e
ventimila bottiglie), come di “altra Franciacorta”, “Franciacorta eno-dissidente”,
“Franciacorta underground” ecc…
Tornando
al Vita Grama... non avessi conosciuto e apprezzato i loro vini in giro per le
fiere, probabilmente non avrei mai dato fiducia ad un rosso bordolese prodotto
in terra di bollicine. Due cose per cui non impazzisco messe insieme. Aver
bevuto La Beccaccia, mi ha fatto ricredere, perché quando un vignaiolo lavora
bene e in maniera rispettosa, si possono realizzare rossi strepitosi anche da
queste parti.
Basta quindi uno sguardo all’etichetta “casalinga” con primo
piano sulle mani “contadine” del padre, pensare all’esigua quantità di
bottiglie prodotte, il lungo invecchiamento in cantina (l’annata bevuta, 2004,
dovrebbe essere l’ultima uscita), per capire che a Casa Caterina, non si
producono vini scontati, casomai estremi e coraggiosi. La retro etichetta
scritta a mano, racconta di un assemblaggio con predominanza di merlot, di un
esiguo numero di bottiglie prodotte e di una gradazione alcolica contenuta sui
12.5 gradi. Non conosco il processo produttivo, ma si tratta di un lento
invecchiamento sui lieviti, con legni usati e tanto acciaio. Ne deriva un “bordolese”
che si discosta dal suo concetto classico, siamo distanti sia da
Bordeaux che da Bolgheri, ma soprattutto da quel concetto di super blend barricato.
Ne deriva un vino semplice e a tratti rustico, non tanto nel senso stretto del
termine, più che altro pensando ad una beva assassina, per un vino che vista la
carta d’identità, riesce ad esprimere la freschezza e la bevibilità di un vino “quotidiano”,
di un vino a cui nonostante tutto, la dicitura “vino da tavola” calza a
pennello. Al di là di alcuni rimandi bordolesi avvertibili al naso, intriga per
il suo colore inchiostrato, l’energia e la tensione che sprigiona, i rimandi
terrosi, le note speziate, il frutto succoso. Mai stanco e sorretto da una
spinta acida che trasformano un potenziale mammut in un vino glu glu.
Sarò
ripetitivo, ma anche per chi come me, predilige vini più scarni, esili e
scoloriti, diventa impossibile non inserire il Vita Grama nella lista dei vini
del cuore, quei vini rari e un po’ “indie”, che se hai la fortuna di incontrare
in osterie, appena lo ordini deciso e convinto, il sommelier capisce subito di
che pasta sei fatto, ed evita di intortarti con mirabolanti descrizioni organolettiche
per eno-fighetti… E quel nome “Vita Grama”, mentre posi ridente e soddisfatto
la bottiglia svuotata sul tavolo, ti pare quasi un ossimoro.
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