...Identità territoriale in primis, l’Emilia “paranoica” raccontata dai CCCP l’assaporiamo anche nei vini di Elena. Entrambi in controtendenza, hanno saputo interpretare il loro tempo, ribaltare il senso del gusto ed essere inconsciamente, simbolo di una generazione...
Innegabilmente tra le varie regioni italiane l‘Emila Romagna è tra quelle che enologicamente parlando mi mettono maggiormente in difficoltà. Qualcuno lo chiama eno-snobbismo, ma non è questo il punto. Parto dal mio scarso amore per i vini vivaci, in particolare se si tratta di rossi e si sa, questa regione è la patria dei vini con la spuma. Gutturnio e Barbera frizzante, Bonarda, Lambrusco di Modena… dalle spinatrici dei circoli locali alle bottiglie più pregiate, la spuma di questi vini, gassosa o nobile che sia, è sempre poco apprezzata dal sottoscritto, quantomeno non abbastanza per giustificarne l'esborso economico per l’acquisto di una bottiglia. E proprio questo è il secondo motivo che mi tiene alla larga da questi vini… con pochi soldi in tasca, nonostante la “fame” gustativa, per cui vorresti provare tutte le etichette del mondo, da nebbiolista quale sono, preferisco investire su vini più consoni al mio gusto. Diventa così difficile acquistare vini dell’Emilia Romagna alla cieca o tanto per provare un’etichetta. Ad esempio il Gutturnio...(assemblaggio Barbera-Bonarda)... sempre massima attenzione, soprattutto quando non è specificato sull’etichetta “fermo” o “frizzante”…
Detto questo, (volevo giustificare la non folta quantità di bocce Emiliano-Romagnole presenti nel blog), bisogna ammettere come nel corso degli ultimi anni, molte aziende vitivinicole locali siano riuscite a smarcarsi dall’idea di vino "andante" e vino in cartone, (Tavernello e San Crispino sono di queste parti…) come semplici vini "per lavare lo stomaco" (o meglio da spurgo…), senza alcuna pretesa qualitativa e gustativa.
Così a contrastare un'idea di vino industriale, con vigne ad alta densità di impianto, rese altissime e con massicci interventi chimici in vigna, si sono sviluppate alcune realtà che hanno concentrato gli sforzi su una viticoltura più rispettosa dell’ambiente, del territorio e conseguentemente del consumatore.
Tra le maggiori interpreti della rinascita della viticoltura emiliana c’è sicuramente l’az. Vitivinicola La Stoppa, di Elena Pantaleoni (con la collaborazione di Giulio Armani), tra le più stimate “donne del vino” del panorama nazionale. La cantina di Rivergaro (PC) in Val Trebbiola, ha origini antiche, ma solo dal 1973 con l’acquisizione da parte della famiglia Pantaleoni, inizia la fase di rinnovamento, che avrà una decisiva svolta nel 1997 quando Elena diventa titolare dell’azienda e ne fa un simbolo del territorio piacentino e più in generale della viticoltura "naturale" nazionale.
Alla Stoppa si inizia così a produrre vini il più naturali e territoriali possibili. Sempre più ettari sono dedicati ai vitigni autoctoni come Bonarda, Barbera e Malvasia a discapito dei più internazionali vitigni di stampo bordolese. Le vigne sono gestite secondo il metodo biologico, vengono abbassate le rese, eliminato il diserbo e favorito l’inerbimento. Nessuna concimazione e trattamenti, con l’esclusivo utilizzo di rame e zolfo. Questa attenzione per il lavoro in vigna, il rispetto ambientale e un processo di vinificazione il più spontaneo possibile (quindi zero solforosa, utilizzo di lieviti indigeni, macerazioni lunghe con temperature variabili a seconda delle annate), hanno permesso di otttenere vini caratteristici e distinguibili all'interno del panorama enologico nazionale, con possibili variazioni anche a seconda delle annate.
L'attenzione per un vino caratterizzato e fatto soprattutto in vigna, oltre al crescente interesse delle nuove generazioni di eno-consumatori nei confronti dei vini "naturali", hanno consentito ad Elena e alla sua azienda di porsi all’attenzione di molti, ottenendo numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, attestandosi come una delle più importanti (e grandi) cantine produttrici di vini "naturali". Molto spesso le cantine che operano in maniera “non industriale” sono dimensionalmente piccole e a conduzione famigliare. Alla Stoppa invece hanno dimostrato che “naturale” non deve obbligatoriamente far rima con "piccolo". Si può operare in maniera eco-compatibile con il territorio, nel rispetto delle tradizioni, dell'artigianalità e della genuinità del prodotto anche facendo i grandi numeri.
Qui gli ettari coltivati sono ben 30 per un totale di 160.000 bottiglie prodotte e a differenza di altri vignaioli “naturali” le cui bottiglie sono quasi introvabili (solo vendita diretta, fiere dedicate o enoteche specializzate), sono (in parte) reperibili anche presso la grande distribuzione (all’Auchan ho trovato sullo scaffale sia il Gutturnio frizzante che quello fermo per una cifra intorno a 8-9 euro). Nell'insieme viene prodotta una selezione ben articolata, che passa dai vini quotidiani come il Rosso e il Trebbiolo frizzante, ai più importanti Macchiona, Barbera della Stoppa, Ageno, oltre al passito Vigna del Volta.
Nello specifico il vino che mi sono gustato é il Rosso, vino giovane a base di Barbera 60% e Bonarda (Croatina) 40%, diciamo un Gutturnio fermo, non fosse per la radicale rinuncia alla D.O.C. operata dalla Stoppa, una forma di protesta contro la crescente burocratizzazione dell'attività vinicola, sempre più onerosa e "soffocante" per i produttori.
Le uve utilizzate per questo rosso provengono da vigne in età variabile dai 3 ai 20 anni con una densità di impianto tra le 4.000-6.000 piante per ettaro. La macerazione sulle bucce dura circa 20 giorni con utilizzo di soli lieviti indigeni, mentre fermentazione e affinamento avvengono in vasche di acciaio. In totale oltre 30.000 bottiglie prodotte, per un vino base di pronta beva e adattissimo per pasteggiare, soprattutto se abbinato ai rustici piatti della tradizione piacentina.
Mi gusto questa boccia a cena e fin da subito si nota l'impronta del produttore, con un vino che si smarca dal gusto a cui siamo comunemente abituati. Rispetto ad altri Gutturnio assaggiati, quasi dei vini neri, molto rustici e pastosi, qui riscontriamo un vino, leggero, snello, di buona trasparenza e brillantezza, con un naso leggero, poco vinoso e alcolico ma di buona persistenza aromatica. E' alla beva però che esprime tutte le sue caratteristiche e si coglie l'impronta stilistica del vignaiolo. Oltre ad una beva fresca e leggera, ad un attacco piacevole e dolciastro, si contraddistingue per buona acidità e croccantezza, con una succosa sensazione di ciliegia e... udite-udite uva, prima di lasciare spazio a sensazioni floreali ma soprattutto erbacee e terrose fino ad una (mia personale sensazioni) di funghi e muschio (che dopo 2/3 bicchiere mi ha un po’ infastidito), prima di congedarsi con un finale leggere e dolciastro.
Sicuramente un buon vino quotidiano, da bere senza troppo pensarci su, dalla gradazione alcolica importante (13,5%vol.) ma che assolutamente non appesantisce la beva, anzi, la sensazione è proprio quella di un vino leggero e assai digeribile.
Pur essendo un Rosso da bersi giovane e affinato solo in acciaio, si riscontrano delle ben marcate note gustative che smarcano questo vino dalle “solite” sensazioni aromatico-fruttate-speziate a cui siamo abituati. Proprio perché siamo consoni a certi tipi di vino standardizzati, a non tutti possono piacere certe "qualità" e anche al sottoscritto, come ho accennato sopra, alla lunga ha un po’ stonato.
Insomma va a gusti, la certezza è che queste caratteristiche (che ritroviamo più o meno presenti anche in altri vini naturali) sono le particolarità che identificano questo vino e lo contraddistinguono, quindi al di là del gusto personale rimane una nota positiva che avvalora il prodotto, lo rende sanguineo, viscerale e poco tecnico. (Ad eccezione di alcuni vini dove le sensazioni di terra, umido e stalla sono così intense da renderlo, a gusto personale, sgradevole).
L’abbinamento ideale per questo Rosso è un bel tagliere con gli eccezionali insaccati dei Colli Piacentini e ovviamente, gnocco fritto a volontà… il tutto mentre vi ascoltate la discografia dei CCCP.
L’ex band di Ferretti calza a pennello con i vini della Stoppa. Identità territoriale in primis, l’Emilia “paranoica” raccontata dai CCCP l’assaporiamo anche nei vini di Elena. Entrambi in controtendenza, hanno saputo interpretare il loro tempo, ribaltare il senso del gusto ed essere inconsciamente, simbolo di una generazione, stufa del qualunquismo e dell’omologazione degli anni 80 e primi 90. Per entrambi una sorta di approccio “retro-futurista”, ovvero riprendere possesso del passato e delle radici storico, ideologiche e culturali per guardare avanti. Amati o criticati, alla fine per entrambi è arrivata la consacrazione e il rispetto di una generazione “post-punk” sia in ambito strettamente musicale, sia in ambito vitivinicolo.
Ecco, nel mettere in relazione le mie passioni eno-musicali potrei definire La Stoppa una cantina eno-punk. Chi più dei punk nella storia della musica e dei movimenti giovanili sono stati il simbolo dell’anticonformismo, della controcultura, del non omologato e del ritorno ad una musica semplice, diretta e schietta?? Questo hanno fatto anche alla Stoppa, intervenire il meno possibile e lasciare parlare la natura, fare un vino “semplice”, in opposizione alla cultura del vino elaborato e manipolato in cantina, ruffiano, zuccheroso e marmellatoso.
Poco altro da aggiungere, a parte rimarcare le lodi per il lavoro di Elena e La Stoppa (in questa cantina ha “imparato” il mestiere anche quel genio di Zampaglione della Tenuta Grillo), che sicuramente ha il merito di aver dato visibilità e slancio a tutto il movimento dei produttori “naturali”.
In attesa di gustarmi i vini più “importanti”, magari direttamente in cantina (o più probabilmente tra un mesetto al castello di Agazzano) con stima per questo Rosso.
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