Sottotitolo... a cena da Oldani... il ritorno...
Con i suoi tenui ma al contempo leggermente spigolosi profumi e sensazioni gustative, riflette un immaginario fatto di terra povera e pietre, sole freddo e mani segnate dal lavoro in vigna.
Con i suoi tenui ma al contempo leggermente spigolosi profumi e sensazioni gustative, riflette un immaginario fatto di terra povera e pietre, sole freddo e mani segnate dal lavoro in vigna.
In occasione del compleanno del sign. Luigi (a cui rifaccio gli auguri) si va a cena in quel di Cornaredo (MI) presso il D'o del famoso chef Davide Oldani. Se volessi raccontarvi della cena ci vorrebbe un post intero, tanto sono particolari ed emozionali i piatti proposti, quindi eviterò di dilungarmi troppo. Di Davide e della sua idea di cucina "Pop" ne avevo già parlato in passato, dopo la prima esperienza autunnale, che potete rileggere nella recensione del Vermentino "Solaris 2010".
Questa volta, considerando la tipologia dei piatti più "invernali" puntiamo su un vino rosso, fresco e di pronta beva. Molto velocemente, giusto per darvi un'idea, l'entrata é micidiale, perché Oldani ci propone quello che giustamente é diventato il suo cavallo di battaglia, ovvero la cipolla caramellata con pallina di gelato al grana padano su una base di crema calda sempre di grana. Poi é un crescendo continuo, i ravioli di manzo non sono da meno, il souflé di pane con radicchio e scaglie di cioccolato spacca, il bollito misto si scioglie solo a guardarlo e via con i dolci e bla bla bla... ci siamo scolati tre bottiglie di vino e chi si ricorda più tutti gli ingredienti, le riduzioni, le salse ecc...
Quindi... vai con il vino... dopo due chiacchere con il sommelier di sala, decidiamo per il Torrette 2010 della cantina Les Cretes, famosa e conosciuta azienda vitivinicola della Valle d'Aosta, guidata da Costantino Charrère (con la famigliare collaborazione della moglie Imelda e delle due figlie Elena ed Eleonora), che accompagnerà meravigliosamente i piatti di Oldani, obbligandoci a chiedere il bis e anche il tris.
La cantina Les Cretes é da anni il simbolo della viticoltura valdostana, un esempio di tradizione e valorizzazione del territorio, a cui si aggiunge l'attenzione ambientale con il progressivo abbandono dei diserbanti, la sperimentazione del biologico in due vigneti, oltre al nuovo impianto di pannelli fotovoltaici e solari.
La famiglia che si occupa di agricoltura da 5 generazioni da vita a Les Cretes nel 1989, ed oggi vanta 25 ettari vitati in vari comuni della valle, per una produzione di circa 230.000 bottiglie, dai più autoctoni vitigni della zona (Petit Rouge, Fumin, Petite Arvine, Gros Rouge, Cornalin, Mayolet, Prëmetta) ad altri internazionali (Pinot Noir, Chardonnay, Syrah). Un bel esempio di come si possa dar vita ad una realtà vinicola importante, anche nei numeri e nell'utilizzo della tecnologia in cantina, senza snaturare il prodotto finale, mantenendo salda una filiera produttiva che porta alla realizzazione di vini che sanno esprimere al meglio la filosofia del vignaiolo e il terroir di provenienza.
Mentre il mondo del vino esaltava i Supertuscan, il brand e il gusto internazionale, la famiglia Charrère investiva e puntava su un territorio difficile e austero, una viticoltura di montagna che richiede sacrifici, sudore e dedizione, ma che come poche, riesce a regalarci vini di personalità e mai omologati. Credo che un ulteriore passo in avanti nell' abbandono della chimica e la conversione a biologico dei terreni vitati possa essere un ulteriore punto di forza dei vini di Costantino, che già gode di indiscussa stima per i molteplici "sbattimenti" nel recupero di vigneti autoctoni destinati a scomparire, come la Premetta e il Fumin, ma anche come presidente FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e vicepresidente CEVI (Confederazione Europea Vignaioli Indipendenti).
Come ho scritto sopra, abbiamo gustato 3 bottiglie di Valle d'Aosta Torrette 2010, prodotto in 30.000 unità con prezzo di acquisto sulle 9-10 euro. Per realizzare questo vino vengono utilizzate uve Petit Rouge per il 70%, completato da un mix di uve locali come il Mayolet, il Tinturier, il Cornalin e il Fumin. Vendemmiate a metà ottobre, le uve vengono fermentate per 8 gg. in acciaio inox, con temperatura controllata sui 28-30 °C, con rimontaggi giornalieri. L'affinamento é di 8 mesi, sempre in acciaio.
Già nel bicchiere dimostra tutta la sua particolarità, con un colorito rosso rubino vivo, dinamico e brillante, fluido e snello. Al naso é fine e pungente, una vena alcolica decisa (13%vol.) ma mai invadente, sostiene un bouquet elegante e variegato, direi fragrante, grazie alle spiccate note floreali di violetta e rosa, ma anche frutta a bacca rossa e una leggera speziatura di fondo. Al palato si dimostra vino di pronta beva, decisamente elegante e fine, fresco e minerale con sottile vena acidula, risultando croccante e succoso, con una chiusura snella che richiama le sensazioni olfattive.
Un vino giovane e di pronta beva, ideale per accompagnare piatti non esageratamente forti e saporiti. Con la delicata cucina di Oldani, un rosso strutturato e corposo sarebbe stato eccessivo, invece questo "intrigante" Torrette é stato un valido compagno di viaggio, mai invasivo e faticoso, ha saputo accompagnare ed esaltare ogni singolo piatto.
Mi ha particolarmente colpito la sua capacità di essere semplice e di grande bevibilità, senza risultare mai banale o anonimo. Anzi, ha dimostrato di saper esprimere al meglio il terroir di provenienza. Con i suoi tenui ma al contempo leggermente spigolosi profumi e sensazioni gustative, riflette un immaginario fatto di terra povera e pietre, sole freddo e mani segnate dal lavoro in vigna. Finalmente un vino che non va alla ricerca della polpa, della dolcezza, della potenza.
Dall'antipasto al dolce... i piatti degustati al D'o |
In attesa di gustarmi gli altri vini proposti da Les Cretes, mi ri-ascolto i Velvet Underground. La band di Lou Reed come il Torrette ben rappresenta il terroir di provenienza, con i suoi rimandi newyorkesi, ma soprattutto con un rock che anziché puntare sull'amplificatore, gioca su una apparente leggerezza, per regalarci perle di poetica acidità urbana. Come i vini di Costantino, hanno saputo regalarci "un altro" rock, mai banale e spesso dissonante dalla cultura freakettona del tempo.
I vini di montagna sanno sempre stupirci...mentre canticchio rauco Sweet Jane...cin cin... e alla prossima avventura sia con i vini de Les Cretes sia con i piatti di Oldani.
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