giovedì 26 giugno 2014

FONTANASANTA MANZONI BIANCO 2011 - Vigneti delle Dolomiti I.G.T. - Foradori


...una simbiosi tra uomo, natura, terra e cielo, in un contesto agricolo dove regna la biodiversità... espressione di un territorio che Elisabetta come pochi, ha saputo interpretare.



Devo prenderla un po' alla larga la recensione di questo vino, perché prima voglio parlarvi del locale in cui l'ho bevuto. Molti appassionati di vino già conoscono l' Osteria Rosso di Sera, a Castelletto Ticino (NO)... io ci sono stato per la prima volta una settimana fa e sono rimasto particolarmente colpito sia dalla cucina, con una proposta semplice ma curata (come piace a me!!), ma soprattutto (e finalmente!!) il piacere di sfogliare un'esaltante carta dei vini, che sfoggia 900 etichette, con un'interessante panoramica sui "vini naturali". Il Capocollo di maialino Iberico Pata Negra arrosto, con zucchine saltate e salsa agro é una delizia per il palato, mentre in sala si gioca con vinosi assaggi "alla cieca" proposti da Daniele Gramegna. Al momento la più interessante carta dei vini che abbia mai sfogliato, alta qualità al giusto prezzo, con ricarichi contenuti. Il problema davanti a tante etichette é scegliere, ed io non ho sicuramente puntato sull'originalità... ma dopo aver assaggiato i vini di Elisabetta Foradori alle fiere (con grande entusiasmo...), volevo provare il suo Manzoni Bianco, tra gli ultimi nati essendo il 2010 l'anno del suo esordio.

Tanto si é scritto in merito alla "Signora del Teroldego", io vico solo che oggi la cantina di Mezzolombardo, conta 26 ettari di vigna, l’80% a Teroldego, il 15% a Manzoni Bianco e il 5% a Nosiola, per produrre in media 160.000 bottiglie ogni anno: 90.000 di Foradori, 20.000 di Granato, 20.000 di Fontanasanta Manzoni Bianco, 8.000 di Fontanasanta Nosiola e 10.000 per ciascuno dei vecchi vigneti di Teroldego Sgarzon e Morei. Numeri importanti e percorso in costante "trasformazione" che ha portato all'agricoltura biodinamica e alla sperimentazione della anfore, fino alla valorizzazione di un intero territorio attraverso l'esperienza collettiva dei Dolomitici, pongono di diritto  Elisabetta Foradori tra le più conosciute e giustamente apprezzate realtà nel panorama dei "vini naturali" e non solo. 

Devo ammettere di avere un debole per Elisabetta e i suoi vini, per cui provo una profonda ammirazione. E' un piacere ascoltarla mentre racconta con composta eleganza e fare materno dei suo vigneti, con sguardo fiero e sicurezza la sua storia, fatta di scelte e cambiamenti coraggiosi, attraverso l'abbandono delle pratiche enologiche e l'ascolto della natura, non più agricoltura interventista, ma una simbiosi tra uomo, terra e cielo, in un contesto agricolo dove regna la biodiversità e da cui si ricavano vini in grado di rispecchiare a pieno, il carattere della sua vignaiola.

Se il vino simbolo di Foradori é indubbiamente il Granato (100% Teroldego), personalmente apprezzo molto anche la batteria dei bianchi e la scelta é ricaduta sul suo Incrocio Manzoni Bianco, vitigno che nasce dall'incrocio tra Riesling Renano e Pinot Bianco. E' allevato sulle colline argilloso-calcaree di Cognola, Sopra trento, tre ettari divisi in diverse parcelle. Le uve maturano verso fine settembre, quindi fermentazione con macerazione di una settimana in vasca di cemento e successivo affinamento in botti di acacia per 12 mesi

Vi dico subito che il vino mi è piaciuto parecchio… oserei definirlo “bello da bere” grazie ad un’impronta caleidoscopica, che lo rende ricco di sfaccettature. Come Elisabetta sa esprime con grazia ed eleganza un dinamismo che non ti aspetti. Giallo vivo e naso piuttosto fine, quasi a voler nascondere (e quindi costringerci a scoprirlo) un’insieme di “profumi” sottotraccia originali e intriganti, dalle mele ai fiori di campo, i prati di montagna e il miele, vegetale e minerale, sbuffi di incenso… un soffio teso e sottile. Olfatto in crescendo e sempre più esuberante. Palato piacevole e assai bevibile, amabile e di grande appagamento, fresco e pulito, dinamico, mantenendo verticalità e tensione con un sorso vivo e vibrante, grazie ad una acidità rinfrescante e rocciosa, leggermente amarognola a contrastare le note più calde e dolci che richiamano in chiusura le spezie e la frutta secca. Bello, succoso, mai scontato.

Sulle 15 euro in enoteca, valore alcolico contenuto a 12.5%vol, bottiglia importante e "massiccia" e buona propensione a qualche anno di invecchiamento. Se lo bevete adesso che è estate, non esagerate con il secchiello del ghiaccio… va bevuto fresco ma non troppo… altrimenti rischiate di perdervi un sacco di sfumature che lo contraddistinguono.

Una gran bella bottiglia, ma é tutta la gamma Foradori ad eccellere, e non a caso abbiamo a che fare con una delle più importanti donne del vino italiano… senza il suo lavoro e il suo approccio “filosofico” alla natura oggi non saremmo qui a deliziarci con i suoi vini delle Dolomiti, espressione di un territorio che Elisabetta come pochi, ha saputo interpretare.
 

mercoledì 18 giugno 2014

PAIAGALLO 2010 - Barolo D.O.C.G. - Giovanni Canonica


Nel complesso mondo del Barolo, il Paiagallo è una piccola (grande) chicca che non può mancare sul tavolo di ogni appassionato che sa bere con il cuore...



Tra eno-turisti, eno-appassionati e il pubblico “festivaliero” del Collisioni, sono migliaia le persone che ogni hanno si recano a Barolo, città del vino per eccellenza. Impossibile non notare le storiche cantine del centro, più difficile "scovare" il civico 47 di via Roma, a due passi dal comune, dove  ha sede la micro cantina di Giovanni Canonica, un autentico garagiste del Barolo... per molti un produttore sconosciuto, per altri simbolo dell’eno-dissidenza nazionale…

Tutto é semplice e raccolto ... l'abitazione e l'agriturismo “Il Quarto Stato”, oltre ovviamente alla piccola cantina... quanto di più essenziale e artigianale, possiate immaginare… giusto ciò serve per dare vita a non più di 5000 bottiglie l’anno, principalmente Barolo, più qualche "introvabile" boccia di Barbera e un po’ di Nebbiolo.  

Il suo piccolo cru “Paiagallo” (da cui deriva il nome del suo Barolo) di 1.5ha è situato al centro della collina che sovrasta Barolo, ed è condotto nella maniera più naturale possibile… l’uva fa il suo percorso senza alcun tipo di intervento o manipolazione esterna e anche in cantina si opera senza trucchi. "Vino naturale" quindi, senza l'esigenza di sbandierare alcun manifesto vinnaturista, perché é così naturalmente e semplicemente che si fa agricoltura “artigianale”, ottenendo un Barolo originale nel suo essere tradizionale, sempre differente a seconda delle annate, sempre fedele al suo vignaiolo, perfettamente sintetizzato nel tocco quasi “vintage” delle etichette (stupende) fatte a mano. 


Vigneron tradizionalista, perché alla tradizione contadina e piemontese è legato, lontano da qualsivoglia concetto di marketing, in un contesto vitivinicolo economicamente importante come quello delle Langhe, lontano da qualsiasi etichetta vogliate cucirli addosso. Prima che un Barolo DOCG, il Paiagallo é soprattuto il vino di Giovanni Canonica, non solo perché ne cura personalmente e manualmente ogni fase produttiva, ma perché é un vino che ben rappresenta l'anima del suo mentore. 

Nel complesso mondo del Barolo, il Paiagallo è una piccola (grande) chicca che non può mancare sul tavolo di ogni appassionato che sa bere con il cuore, senza limitarsi alle note organolettiche del bevuto o a compilare scolastiche tabelle da corso sommelier... qui bisogna entrare in sintonia con l'anima del vino che si ha nel bicchiere. 

Non facilmente reperibile, vuoi per le poche bottiglie prodotte (quanto basta per viverci dice Gianni...), vuoi per una certa allergia alle leggi di mercato, ma che potete trovare direttamente in cantina per 21 euro, prezzo proletario per scelta etica, affinché il Barolo possa tornare ad essere un vino alla portata di tutti. (...e senza dover ripiegare su offerte industriali da autogrill...)

Ora mi ritrovo in cantina un bel cartone di Paiagallo 2010, Giovanni mi ha avvisato… verrà pronto tra 2/3 anni e poi durerà per almeno 20…. Impossibile resistere così a lungo, potrebbe non esserci più nemmeno il blog, e allora già che di bottiglie ne ho sei, tanto vale stapparne una subito, conscio dell'infanticidio commesso... 

Chiedo a Gianni come da vita al suo Paiagallo e la risposta "essenziale" la dice lunga... "Sul mio vino non saprei cosa dirti se non che si fa da solo e viene come  vuole. La vinificazione dura 30/40 giorni in cemento o vetroresina senza nessun tipo di controllo tecnologico . Poi quando avrà fatto la malolattica  ,in genere in primavera estate ,va in botte dove starà 2 anni. Tutto molto semplice".

Agile nel suo granato scuro, dimostra tutto il vigore giovanile con un naso esplosivo e vitale, verticale e tagliente, intensamente vinoso con marca alcolica (14.5% vol.) pronunciata che scalda e punge. Speziato e terroso, profuma di sottobosco e selvatico con suggestioni autunnali di Langa. Struttura importante e beva dal tannino ruvido, con alcol su di giri e acidità spinta, anche in questo caso dettate dal vigore giovanile... in compenso il sorso é incredibilmente teso e pulito, si beve con gusto grazie ad una "ruvida" scorrevolezza dettata dalla sua grana "imperfetta" che conferisce un tocco fortemente artigianale, contadino e anarchico. Vino di grande appagamento, dopo un finale ai calci di rigore (già che siamo in periodo mundial) che sembrano non arrivare mai.  Meno austero il bicchiere del giorno dopo, che si lascia andare ad una succosità e ad un frutto giovane decisamente inaspettati. 

L'assaggio é sicuramente influenzato dalla giovane età del Paiagallo, che oltre a dimostrare un potenziale evolutivo enorme, riesce già ad entusiasmare fin da subito per integrità, personalità e beva. Asciutto ed essenziale, a tratti pungente, ma anche in grado di coinvolgerti e trascinarti fino all'ultima goccia con un sorso sincero e generoso.

Un rapporto qualità/prezzo straordinario, un vino figlio del suo vignaiolo e della sua terra, che con il suo spirito libero é riuscito a ritagliarsi, pur senza volerlo, un ruolo "antagonista" nel complesso e frastagliato panorama della più importante DOCG italiana. Insomma un sorso autentico come pochi... il Barolo che non trovi in bella mostra nell'enoteca del centro, ma che vorresti gustarti in una onesta e casereccia osteria di campagna. E' solo vino... per questo esprime una propensione contadina e avversa all'omologazione che colpisce al cuore di ogni enodissidente. Se anche personaggi illustri come Gino Veronelli e Beppe Rinaldi si sono scomodati con parole di elogio per Giovanni... io non posso aggiungere altro.

martedì 10 giugno 2014

ROSSO D'ASIA 2008 - Picchioni Andrea

Allora, vino maschio e compatto, ben strutturato e  predisposto all’invecchiamento. Se lo scopo era sfatare l’eno-snobbismo che circonda l’Oltrepò Pavese, direi che questo Rosso d’Asia è riuscito nel suo intento… 


Ho acquistato questa bottiglia di Rosso d'Asia, dopo aver letto cose egregie sui vini di Andrea Picchioni, proprio per sconfiggere alcuni luoghi comuni, che dipingono l'Oltrepò Pavese terra di conquista delle grandi industrie del vino, più attente ai numeri che alla qualità dei vini proposti. Merce da supermercato e da circoli insomma, ma in pochi sanno che quest'area ha grandi potenzialità vitivinicole, decisamente poco sfruttate, a parte alcune eccellenze, che grazie alla volontà dei suoi produttori, sono riuscite a valorizzare questo territorio, portando ad alti standard qualitativi le uve locali, evitando così di rimanere offuscati tra le milioni di bottiglie a basso costo delle grandi cantine. Una forma di eno-snobismo diffuso, sia tra i consumatori da grande distribuzione che tra noi appassionati. Volevo quindi provare il vino di un produttore che in queste zone sta lavorando da oltre 20 anni, con passione e voglia di sperimentare. 

Andrea é un produttore di Canneto Pavese e coltiva dieci ettari concentrati in gran parte nella Val Solinga; qui le colline si inerpicano con forte pendenze, un terreno ciotoloso baciato dal sole, che favorisce la maturazione delle uve, il che permette di identificare in questo territorio, una delle sottozone più interessanti dell'intera area dll'Oltrepò Pavese.. 

Un lavoro rigoroso partito nel lontano 1988 e sostenuto da Giuseppe Zatti che dal '95 mette al servizio della causa le sue competenze enologiche. Un percorso di valorizzazione territoriale e ricerca della qualità, che non poteva non passare attraverso una particolare attenzione ambientale, che ha portato alla scelta della conversione biologica. 60.000 bottiglie prodotte, con un grande Buttafuoco dal cru Bricco Riva Bianca a tirare le fila di una batteria di nove vini, tra cui spicca anche il Nero d'Asia che vado a stappare oggi.

Praticamente si tratta di un rosso fermo a base Croatina, con un 10% di Ughetta di Solinga. 10-15 giorni di macerazione sulle bucce e un anno di affinamento in barriques. 

Colore rosso rubino scuro e concentrato, cuore impenetrabile ma con bordi trasparenti e luminosi. Naso carico e persistente, che gioca più sull’agonismo che sul tocco di fino. Attacco vinoso e con qualche eccesso alcolico, caldo e penetrante, tende a saturare le narici con “sniffate” prolungate. Il frutto carico e maturo, lascia spazio soprattutto alle note di spezie piccanti, pepe bianco su tutti e poi i sentori che contraddistinguono i vini barricati, legno, ma anche vaniglia, sigaro, cuoio e affumicatura.  La beva devo suddividerla in due fasi… mi sono bevuto la bottiglia in solitaria e così l’ho “smezzata” in due giorni… la prima metà, stappata e bevuta non mi ha particolarmente entusiasmato… vino di struttura e corpo, fin troppo materico e polposo, caldo e decisamente alcolizzato, ancora barriques in evidenza, tannino un po’ esuberante, prima di un finale piuttosto lungo a tinte scure.  

Una beva non facile e quasi faticosa… La mezza bottiglia del day after, 32 ore dopo l’apertura si è rilevata molto più interessante e ricca di soddisfazioni… Finalmente il vino sembra uscito dalla penombra, pronto a porgerci il suo lato più “solare” … pur mantenendo l’impronta del “vinone” del giorno prima, la sua carica “agonistica”  lascia spazio a qualche colpo da fuoriclasse… alcool e legno meno invasivi, la consistenza polposa e materica è meno pesante e più succosa, lasciando spazio ad un frutto vivo e maturo, di grande e piacevole qualità estrattiva, per una beva che finalmente si dimostra non solo importante, ma anche gratificante e appagante.

Allora, vino maschio e compatto, ben strutturato e  predisposto all’invecchiamento. Se lo scopo era sfatare l’eno-snobismo che circonda l’Oltrepò Pavese, direi che questo Rosso d’Asia è riuscito nel suo intento… e sono sicuro che in una degustazione alla cieca, molti rimarrebbero colpiti nel scoprire la sua provenienza..  quindi complimenti ad Andrea Picchioni…

Personalmente non è una tipologia di vini per cui stravedo, prediligo un uso dei legni meno marcato e un sorso meno concentrato, ma è anche giusto ricordare il vitigno di partenza (Croatina), non sarebbe quindi giusto aspettarsi vini snelli ed eterei.  Di sicuro la succosità invitante, riscontrata nel bicchiere del giorno dopo è un buon indicatore di piacevolezza per un vino, a cui non guasterebbe un pizzico di freschezza. Ma ripeto qui rientriamo nella sfera dei gusti personali….


15 euro circa in enoteca per farlo vostro… e se amate i vini materici e ricchi di polpa, potreste rimanere sorpresi da questa chicca dell’Oltrepò Pavese… siamo esattamente all’opposto rispetto ai rossi frizzantini e beverini a cui il mercato delle grandi cantine ci ha abituato. L’enodissidenza di Andrea Picchioni  risiede proprio qui… dritto per la sua strada senza mai cedere alle leggi del mercato e alla svalutazione di un territorio che sa andare ben oltre gli scaffali di un ipermercato.

martedì 3 giugno 2014

AUSTRI 2006 - Langhe D.O.C. - San Fereolo

...un temporale improvviso in un' afosa giornata estiva... un soffio di vento teso e vibrante, prima di rilassarsi (finalmente) in un lungo finale notturno ed impenetrabile. Le due anime della Barbera portate agli estremi. 


C'é "Un Posto a Milano" che si chiama Cascina Cuccagnia e in un bel week end di primavera ha ospitato la versione "on-tour" di Vini di Vignaioli. Un successo annunciato e l'ora abbondante di fila per riuscire ad entrare, ne é la dimostrazione... Arrivando da Varese, Milano é quasi dietro l'angolo, ma a conti fatti tra traffico, parcheggio introvabile e attesa all'ingresso, é stato quasi più veloce andare a Cerea per Vini Veri. Comunque ci sta... il vino é come il rock'n'roll... é un connubio di emozioni e sacrifici, sia per i protagonisti sul palco (o su e giù tra i filari) sia per noi, pubblico pagante e sudante (in passato anche "pogante") a ridosso delle transenne. 

Appena riesco a mettere piede in una delle salette adibite agli assaggi, non mi resta che porre il calice ancora lustro a Nicoletta Bocca, che decide di "sporcarmelo", partendo dai bianchi siciliani riposti sul tavolo adiacente al suo che portano la firma di Francesco Guccione (tra i migliori assaggi di giornata)... E poi via... é tutto un crescendo "gustativo" a marca San Fereolo, fino alla conclusiva stretta di mano, ma solo dopo aver "barattato" il frutto delle rispettive fatiche.... 14 "metalmeccaniche" euro per il sottoscritto, una bottiglia di Austri 2006 per Nicoletta. 

Oggi mentre stappavo, ho ricordato quel un sorso "esplosivo" di Barbera, ma ad interessarmi é soprattutto la storia di chi il vino lo produce, e quella di Nicoletta Bocca é indubbiamente tratta da un gran bel romanzo, uno di quelli che vorresti vivere in prima persona.   Preferisco usare parole come rispetto e stima, per esprimere quella forma di invidia che nutro, per chi riesce a mattersi in gioco e dare "forma e sostanza" alle proprie passioni. Ho già speso parole di elogio per i ragazzi di Crealto, che hanno lasciato Genova e il mare per diventare protagonisti nella terra del Grignolino Casalese, e con la stessa ammirazione scrivo oggi di Nicoletta, in partenza da Milano nei primi anni novanta per diventare "Capitano" alle porte delle Langhe con il suo Dogliani.

In Borgata Valdibà sorge San Fereolo, azienda vitivinicola che vanta oggi 12 ettari vitati e una produzione di circa 45.000 bottiglie. Non un corpo unico, ma un insieme di parcelle sparse nel territorio di Dogliani e acquisite nel corso degli anni. Predominano le uve piemontesi per eccellenza, Dolcetto in primis, con viti che arrivano a 70 anni di età, senza dimenticare la Barbera, il Nebbiolo e i due "intrusi" Riesling e Gewurztraminer, che assemblati danno vita all'unico bianco della casa. 

Una zona ad alta vocazione vitivinicola, d'altronde siamo a due passi da Monforte d'Alba, ma qui non c'è la "corsa all'oro" che ha portato ad una "quasi" monocultura della vite... il paesaggio é molto più selvaggio, rustico e rurale, i vigneti sono incastonati tra i boschi, i noccioli, i campi... regna la biodiversità e l'approccio natur all'agricoltura (dal 2006 biodinamica) é la logica conseguenza di chi da cittadina e bevitrice ha saputo calarsi nel ruolo del vigneron (e del contadino) partendo da zero, sapendo osservare e ascoltare. Nicoletta arriva al vino senza pretese imprenditoriali, senza la volontà di imporsi, ma con l'umiltà di chi affronta una nuova avventura tra incertezze ed interrogativi. Un approccio culturale al vino, necessario per capire, per riflettere, per andare in profondità... per mettere a frutto le conoscenze acquisite e le esperienze fatte nel corso degli anni. Sono passati più di ventanni da quel fatidico 1992, anno zero di San Fereolo, e credo che Nicoletta possa ritenersi orgogliosa nel ritrovare nei suoi vini, tutta l'energià é la vitalità di questi luoghi e del suo mentore.

Di Barbera scrivo oggi... Austri 2006, con un saldo (5%) di Nebbiolo e la denominazione Langhe DOC per questioni cartacee... Assemblaggio di uve derivanti da 4 differenti parcelle, con predominanza del vigneto Austri (da cui il nome), situato a 400 metri di altezza su terreni di medio impasto a prevalenza calcarea. Allevamento a Guyot e resa di 35/40 ettolitri per ettaro. Uve vendemmiate ad inizio ottobre, con vinificazione in tini di legno senza aggiunta di lieviti selezionati, additivi enologici e nessun controllo delle temperature. Affinamento nei legni, con prevalenza di botti di Slavonia ma anche tonneaux. Produzione di circa 8.000 bottiglie.

Appena verso il bicchiere si incupisce di un rubino notturno ed impenetrabile, una calma solo apparente, perché appena avvicino il naso, rimango colpito da un vino vitale ed energico, esuberante, quasi esplosivo. Vena alcolica su di giri, anche troppo (14.5%vol.), a spingere un mix di piccoli frutti neri  e poi china, grafite, cacao amaro, torrefazione… terrosa, vegetale e selvatica. Il sorso si è rilevato molto più potente ed austero rispetto alle sensazioni avute durante l’assaggio milanese. Possente e ancora (a gusto personale) troppo alcolizzato, si distende leggermente con il tempo, rimanendo comunque ruvido e implacabile. E' materico e ricco di frutta viva e polposa, calda e corposa, dalla trama tannica serrata. Poi, un temporale improvviso in un' afosa giornata estiva... si rialza, scattante e spigolosa, di acidità rinfrescante, un soffio di vento teso e vibrante, prima di rilassarsi (finalmente) in un lungo finale notturno ed impenetrabile. Le due anime della Barbera portate agli estremi. 

Si ha quasi la sensazione di avere a che fare con un vino dalla longevità infinità, come se ad oggi questo 2006 non abbia ancora raggiunto un equilibrio perfetto. Evolverà sicuro, ma credo che il suo animo contrastato difficilmente troverà pace.

Al naso rimandi quasi "modernisti", nella sua potenza estrattiva, ma poi la bevi energica e scalpitante, mai doma e ti innamori del suo essere "semplicemente" bohémien. Da consigliare a Zack de la Rocha... questo Austri suona come i suoi Rage Against The Machine tensione ed energia che scalfisce il tempo.... Voto:7

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Se avete passato uggiosi pomeriggi a consumare i vinili di Joy division, The Cure, Siouxsie and the Banshees, Bauhaus... non potete rimanere indifferenti al pinot nero di Voltumna.

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Uno dei migliori assaggi della Riviera Ligure di Ponente... uno di quei casi in cui è il vino nel bicchiere che parla (...anche al posto del vignaiolo...)

ALTEA ROSSO 2012 - Sibiola I.G.T. - Altea Illotto

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Serdiana prov. di Cagliari, a pochi metri da dove nasce il vino status symbol dell'enologia sarda, troviamo una bella realtà di bio-resistenza contadina...

RIBOLLA GIALLA 2013 - I.G.P. delle Venezie - I Clivi

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Una ribolla che è un soffio di vento... lontani anni luci dai bianchi "tamarrosi" a pasta gialla, tropicalisti, dolciastri, bananosi e polposi.

BARBARESCO CURRA' 2010 - D.O.C.G. - Cantina del Glicine

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...piccola, artigianale, familiare, storica… un passo indietro nel tempo... la bottiglia giusta per l'autunno che verrà...

FIANO DI AVELLINO 2012 - D.O.P. - Ciro Picariello

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Niente enologo, niente concimi, approccio artigianale e tanta semplicità affinché il vino possa esprimere al meglio il territorio. Se dici Fiano, Ciro Picariello è un punto di riferimento assoluto.

DOS TIERRAS 2011 - Sicilia I.G.T. - Badalucco de la Iglesia Garcia

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...una fusione eno-culturale vincente, un vino che intriga, incuriosisce e si lascia amare, un vino del sole e della gioia, della bellezza territoriale e popolare che accomuna Spagna e Sicilia.

RENOSU BIANCO - Romangia I.G.T. - Tenute Dettori

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...quello che entusiasma del Renosu Bianco è tutto il suo insieme, dalla sua naturalità alla sua originalità, mantenendo una piacevole semplicità nel sorso...

CINQUE VINI, TRE SORELLE, UN TERRITORIO > TUTTI I ROSSI DEL CASTELLO CONTI... IL POST DEFINITIVO

CINQUE VINI, TRE SORELLE, UN TERRITORIO > TUTTI I ROSSI DEL CASTELLO CONTI... IL POST DEFINITIVO
Conosco e bevo "Castello Conti" da alcuni anni, e provo una profonda ammirazione per i loro vini e per il lavoro "senza trucchi" di Elena e Paola. Da una recente visita con degustazione presso la loro cantina di Maggiora, é nata una sorta di collaborazione appassionata, che mi ha permesso di gustare l'intera produzione di rossi del Castello, che oggi in questo mega-post ho il piacere di raccontarvi alla mia maniera...

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!
da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!
...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.