giovedì 27 ottobre 2011

BARBERA D'ASTI 2009 - D.O.C.G. - Az. Agr. Massimo Marengo

...Nella sua categoria davvero un prodotto ottimo, a dimostrazione che si può pasteggiare bevendo bene e spendendo poco, con vini semplici ma che hanno qualcosa da dire, senza bisogno di passaggi in barriques o eccessivi ritocchi in cantina. 


Nel post precedente vi ho raccontato della fiera del tartufo bianco di Moncalvo, della Trattoria di Campagna 1997 e soprattutto del Bordeaux Saint-Emilion Grand Cru dello Chateau Badon La Garelle, come classico esempio di vino standardizzato e molto similare ad altre tipologie di blend già assaggiati in Italia. 

Fortunatamente oggi abbiamo fatto pace con il nostro palato, perché lo shopping alla fiera di Moncalvo ci ha permesso di acquistare qualche buona bottiglia di Ruché e Barbera d’Asti. 

La Barbera d’Asti D.O.C.G. a detta di molti può essere considerata la miglior Barbera piemontese  (anche se a mio avviso alcune versioni della Barbera d’Alba non sono da meno),  un vino che nel corso degli ultimi decenni è riuscito a smarcarsi dall’etichetta di vino minore e da osteria, puntando non più (e non solo) sulla quantità, ma anche sulla qualità, con caratteristiche organolettiche importanti, riuscendo a regalarci nella sua versione “Superiore”, un Barbera di altissimo livello, in grado di competere e rientrare nelle liste dei migliori vini italiani. 

La Barbera che comprava in damigiana e imbottigliava mio nonno oggi sembra un lontano ricordo, anche se l’aspetto “agricolo e contadino” delle aziende vinicole e dei suoi produttori (ben lontani da alcune "astronavi" a 5 stelle viste in Toscana e nelle Langhe), nonché la presenza di molte cantine sociale di paese, richiamano atmosfere rustiche che sanno di terra e di lavoro, di vino sincero e non troppo elaborato.

Andiamo così a degustare e a scoprire la Barbera d’Asti di Massimo Marengo, storica e tradizionalista famiglia di vignaioli, con alle spalle una storia fatta di vino che inizia addirittura dal 1536. 

L’attuale cantina prende forma nel 1835 quando la famiglia Marengo si trasferisce a Castagnole  Monferrato e da vita ad un’azienda agricola dove si alleva il bestiame e si coltiva la vite. La svolta negli anni 60, quando l’azienda si specializza nella viticoltura; un processo di crescita costante che oggi é rappresentato da 5 ettari vitati e un processo produttivo in grado di seguire tutte le fasi della lavorazione, dalla vigna all’imbottigliamento. Si investe sul territorio e i vini tradizionali del Monferrato, come il Grignolino, la Barbera ma soprattutto il Ruché, un vitigno autoctono che rappresenta il punto di massima espressione della produzione di questa cantina (e di cui parleremo prossimamente…).

Assaggiamo questa bottiglia, che è la versione base, ovvero Barbera fermo annata 2009 maturato in acciaio. Gradazione alcolica importante (14.5%vol.) e prezzo d'acquisto dal produttore di 4 euro e 50.  

Nel bicchiere si presenta di color rosso rubino con leggera tendenza al granato, quasi impenetrabile lascia filtrare pochissima luce. Al naso attacca deciso e vinoso, con buona intensità, grazie anche ad una vena alcolica marcata ma non invasiva, che sostiene un bouquet semplice e poco articolato. La mancanza di affinamento in legno ci consegna un vino dove sono soprattutto le note fruttate a farsi sentire. Nell’insieme un naso gradevole dalla discreta persistenza. Al palato si dimostra subito asciutto e pieno. La cosa che più ci è piaciuta di questa bevuta è la capacità di mantenere il carattere ruspante della Barbera ma senza renderlo aggressivo, anzi piuttosto semplice e piacevole alla beva, ben equilibrato. Un vino di medio corpo e struttura, che rilascia buon calore e morbidezza, dal finale discretamente lungo che ci ricorda il “terroir” da cui proviene. 

In passato di fronte a bottiglie di Barbera simili a questa, abbiamo riscontrato dei vini molto intensi, rustici e di grande potenza alcolica, dalla bevuta piuttosto difficile, diciamo il classico vino “pesante”. Il merito della vinicola Marengo sta proprio nell’essere riusciti a dare un bel equilibrio al tutto, proponendo una Barbera, che pur mantenendo un bel carattere, riesce ad essere anche molto piacevole, senza appesantire troppo la beva.

Nell’insieme stupisce soprattutto per semplicità e genuinità, ma anche per buona qualità, soprattutto considerando che siamo al cospetto di un vino “da pasto” pagato solo 4.50 euro. Nella sua categoria davvero un prodotto ottimo, a dimostrazione che si può pasteggiare bevendo bene e spendendo poco, con vini semplici ma che hanno qualcosa da dire, senza bisogno di passaggi in barriques o eccessivi ritocchi in cantina. 

L'unico rimpianto é averne comprata una sola bottiglia, ma ero alla fiero pieno di sacchetti e con l’auto a 2km, non potevo comprarne di più. 

In attesa di assaggiare il Ruché da cui mi aspetto grandi cose, non ci resta che fare i complimenti a Massimo Marengo, con la promessa che prima o poi torneremo a trovarlo per fare acquisti, magari a Castagnole per la festa del Ruché, o perché no, direttamente in cantina. 

Se penso a quanti vinacci si acquistano al supermercato sotto le 5 euro e che buon Barbera ci propone questa cantina con soli 4.50 euro… mi viene quasi rabbia... quindi fatevi un giro a Castagnole e fate un po’ di scorta di buon vino al giusto prezzo, ne vale sicuramente la pena.
Apprezzamento e stima.

martedì 25 ottobre 2011

CHATEAU BADON LA GARELLE 2008 - Saint-Emilion Grand Cru AOC - Chateau Badon La Garelle

...Eccovi servito un altro blend fatto con lo stampino....questi vini sono molto piacevoli per le nostre papille gustative, ben costruiti e ben equilibrati, ma in quanto a carattere hanno veramente poco da dire.


Domenica 24 Ottobre ci si sveglia a fatica dopo il “rumoroso” concerto di Peter Kernel la sera prima, ma alle 9.00 ho già fatto colazione e acceso il motore della mia utilitaria pronta a scattare verso Moncalvo, Fiera del Tartufo bianco del Monferrato (per chi vuole si replica domenica 30 ottobre).

Avevo già programmato un ritorno tra le colline del Monferrato un mesetto fa, per un giro cantine in occasione della rassegna “Benvenuta Vendemmia”, ma a causa di un cielo a pecorelle (e relativa acqua.. fate voi la rima...) avevamo rinunciato e optato per una degustazione casalinga. 

La fiera è presa d’assalto, un sacco di gente e un sacco di pullman ingolfano le strade che portano alla piazza di Moncalvo. L’area è invasa da bancarelle e stand, sono oltre 140 gli espositori e quasi tutti offrono prelibatezze eno-gastronomiche, soprattutto dell’area Piemonte-Monferrato. Inutile negare... lo shopping è stato sfrenato, chi ama l’enogastronomia non può rimanere indifferente a tanto ben di dio. 

Dopo un paio d’ore abbandoniamo la piazza (o meglio il campo di battaglia vista la ressa) carichi di sacchetti, (Barbera, Ruché, funghi, formaggi, dolci alle nocciole ecc…) e ci dirigiamo verso Camagna Monferrato; ormai è l’una e la pancia recrimina attenzione. Ci dirigiamo verso un piccolo ristorante a conduzione familiare chiamato “Trattoria di Campagna 1997”, ne abbiamo sentito parlare bene e così abbiamo prenotato. Arriviamo così in questo paesino sperduto tra le colline del Monferrato e svoltiamo in un piccolo vicolo, al termine del quale c'é un piccolo parcheggio da cui si gode una bella vista panoramica. Sulla destra ecco la trattoria. Esternamente non gli dai 2 lire, giardino incolto, una piccola casa vecchia senza insegna, e una porticina malconcia per entrare. Poi però osservi le decine di adesivi di guide attaccate alla porta, vedi anche la lumaca arancione di Slow Food e allora capisci che forse non sei finito “in culo ai lupi”, ma stai per addentrarti in una piccola chicca della ristorazione piemontese. E così sarà. 

Conduzione casereccia ma con stile, moglie e marito all’opera (lei gestisce la sala, lui è il re dei fornelli), una trentina di coperti non di più, cucina tradizionale ma curata e ricercata. Dagli antipasti al dolce è un insieme di assaggi, in un percorso che si addentra nella gastronomia del Monferrato, dai bolliti misti (che metto al primo posto), ai tajarin  passando per il fritto alla piemontese (che metto all’ultimo posto, sarebbe stato meglio un classico brasato), terminando con i dolci. Tutto di molto buono, in costante equilibrio tra tradizione e creatività. 

Ovviamente tanto ben di dio va accompagnato da una buona bevuta, anche perché di vino si parla in questo blog e non di gastronomia o delle mie gite domenicali. Eccoci presentata una specie di carta dei vini. In realtà trattasi di un foglio unico con una quindicina di bottiglie consigliate "dal marito". Considerando la tipologia di trattoria mi aspettavo una selezione molto più autoctona e locale, puntavo deciso sulla Barbera d’Asti e il Ruché, magari qualche alternativa “langofona”, invece la lista è molto più variegata, con bottiglie di varie regioni italiane e alcune proposte dalla Francia. 

Decido di provare con un vino francese un Bordeaux di Saint-Emilion e lo scelgo principalmente per 3 motivi. Uno, non potendo puntare sul territorio tanto vale sperimentare. Non capita spessissimo di trovare nella carta dei vini di una trattoria, bottiglie francesi. Due, una politica dei costi decisamente interessante e alla portata di tutti. I vini proposti rientrano tutti in una fascia di prezzo che va dalle 15 alle 20 euro. Direi ricarico onesto e scelta politicamente corretta. Certo leggendo la carta posso dire che non ci sono bottiglie particolarmente interessanti o di alto livello, comunque una politica del prezzo contenuto che condivido, anche se su queste cifre si poteva fare di meglio. Terzo, che poi è anche il motivo principale, la curiosità. Mi ha sempre interessato tutto il discorso sull’americanizzazione del vino negli ultimi 20 anni, una tendenza che ha portato all'omologazione del gusto e che è partita proprio dai produttori di Bordeaux. 

E allora proviamolo un Bordeaux a basso costo e verifichiamo se il gusto è così similare a molti blend di casa nostra, interessati più ad avere un carattere “piacione” che “personalità”. Allora il vino che ci portano al tavolo è un Bordeaux Grand Cru AOC 2008 dello Chateaux Badon La Garelle, di Saint-Emilion, bellissima cittadina medioevale circondata da vigne e patrimonio mondiale dell’UNESCO. 

Il vino è un blend in puro stile merlottiano, dove le uve di questo vitigno rappresentano l’85% dell’uva utilizzata, mentre il restante 15 è a base di Cabernet Sauvignon. Allora senza entrare troppo nei dettagli, diamo subito una risposta al quesito che ci siamo posti inizialmente sulla somilianza tra i vini moderni... e la risposta è si!! Chi fino ad oggi ha sostenuto teorie in merito all’omologazione del vino, spiegando che poco importa dove li acquistate, se in Italia, in Francia, in Spagna o in California, tanto sono identici, beh, aveva ragione. 

Ricordate il post sulla degustazione del Rosso 2007 della cantina Avignonesi? Ricordate che avevo mosso delle critiche in merito al fatto che mi trovavo di fronte al solito Supertuscan dal gusto internazionale? Eccomi servito con questo Bordeaux praticamente uguale al Rosso di Avignonesi. A migliaia di km di distanza non c’è spazio per le differenze. Il carattere, il terroir, la storia vitivinicola della regione di provenienza non si sentono assolutamente. I 2 vini ad etichetta coperta sarebbero quasi indistinguibili. 

Dolcezza prima di tutto, zucchero a volontà, polpa, marmellata, frutta matura e un tocco di legno. Carico già dal colore, morbido, di facile beva e piacione. Gradazione alcolica sui 13%vol. Eccovi servito un altro blend fatto con lo stampino. Come ho già detto altre volte questi vini sono molto piacevoli per le nostre papille gustative, ben costruiti e ben equilibrati, ma in quanto a carattere hanno veramente poco da dire. 

Prezzo al ristorante 17 euro, mentre in commercio lo trovate sulle 9-10 euro. 

Soddisfatti dal mangiato, un po' meno dal bevuto, torniamo a casa con il baule pieno di Ruché e Barbera, sicuri di riscattarci con vini più rustici e territoriali. Un saluto al Monferrato e ai gestori della Trattoria di Campagna, ai quali ci permettiamo di consigliare una carta dei vini più centrata sul territorio. Per il resto tanto di cappello.. alla prossima bevuta.

giovedì 20 ottobre 2011

ROSSO CONERO 2007 - D.O.C. - Az. Agr. Villa Malacari

...equilibrato e piacevole ma senza scadere nello scontato, mantenendo una buona dose di rusticità e carattere, giusto per ricordarci che abbiamo a che fare con un vino della tradizione e non della moda del tempo.


Piccolo flash-back.. ponte del 2 giugno nelle Marche, precisamente Conero e dintorni. Ricordate che avevo scritto 2 righe in merito, dal titolo "Su le mani per il Rosso Conero"?? Bene, dopo qualche mese torniamo sull'argomento, perché é arrivato il momento di stappare e lo faccio con grande gioia. 

Fondamentalmente sono due i motivi che mi "invogliano" la bevuta .. il primo é che quando stappi una bottiglia comprata direttamente in cantina dal produttore, dopo aver ammirato i filari e le botti, averne annusato i profumi e l'umidità, é sempre più un qualcosa di "speciale" e "personale" rispetto ad una qualsiasi boccia acquistata in enoteca. Il vino si beve, ma soprattutto se ne parla, quindi é sempre piacevole ritrovare nel bicchiere i ricordi e le emozioni che l'eno-turista prova quando scollina su e giù alla ricerca della cantina giusta. 

Il secondo invece é più legato al momento, le ultime degustazioni parlavano toscano, anzi Supertuscan, ed avevo proprio voglia di tornare ad assaporare e scrivere di un vino e di una cantina che hanno radici ben radicate nel territorio in cui si trovano. 

Eravamo (io e la Betta) "on the road" tra le vigne e i campi di girasole del belissimo entroterra marchigiano, quando abbiamo deciso di puntare verso Offagna, perchè li, proprio all'ingresso di questo bel borgo, a pochi passi dal castello, si trova la storica Villa Malacari, antica dimora seicentesca con annessi terreni agricoli e vigneti che hanno dato vita all' Az. Agr. Malacari. 

Qui il vino ha tradizione e cultura centenaria, con una produzione concentrata su un'unica tipologia di vino (eccezione fatta per una piccola quantità di Verdicchio dei Castelli di Jesi) il Rosso Conero, vino simbolo di questa zona delle Marche. Si punta decisi sulla qualità e la tradizione, poche cose ma fatte bene e dobbiamo ammettere che qui il Rosso Conero (proposto in 2 versioni, normale e la riserva) lo sanno fare egreggiamente. 

L'ambiente, le vigne, la villa, la cantina, lo stile "vintage" dell'etichetta e non ultimo il vino bevuto; tutto fluisce verso un immaginario rurale e romantico, lontani anni luce da vignaioli che producono vini firmati, edizioni limitate o con nomi di fantasia che spesso fanno sorridere. Niente blend internazionali o vini inventati, qui si coltiva e si vinifica solo Montepulciano in purezza, vigne antiche e autoctone. In totale 19 ettari vitati, di cui 4 costituiti dal vigneto più antico e a bassa resa, da cui si ricava il Grignano (la riserva dell'azienda). 

Per questa versione di Rosso Conero 2007, 100% di uve Montepulciano in purezza vendemmiate ad inizio Ottobre. Raccolta e selezione manuale delle uve, fermentazione in acciaio per 8 giorni e un anno di affinamento in botti e barili di rovere. Il vino non filtrato, ha una commercializzazione di circa 60.000 bottiglie l'anno. 

Nel bicchiere si presenta con un bel colorito rosso rubino, caldo con riflessi porpora, fitto ed impenetrabile. Al naso media intensità e persistenza, piuttosto vinoso, con una buona spinta alcolica (13.5%vol.) che sorregge un bouquet gradevole e caldo, dove sono i sentori fruttati (marasca, more e ciliegie) ad avere la meglio sulle note speziate decisamente in secondo piano. Un naso semplice, senza punti di forza ma decisamente equilibrato e gradevole. Al palato si conferma vino assai piacevole alla beva, asciutto, sapido, caldo e mediamente tannico, ricco di corpo, buona polpa. Armonico ed equilibrato, con una buona nota alcolica che da importanza alle note fruttate presenti anche al palato, prima di spegnersi piacevolmente in un finale lungo e persistente con retrogusto leggermente speziato e tostato.

Nell'insieme una bella beva, semplice e leggera ma comunque interessante. Un vino a tutto pasto decisamente ben fatto, equilibrato e piacevole ma senza scadere nello scontato, mantenendo una buona dose di rusticità e carattere, giusto per ricordarci che abbiamo a che fare con un vino della tradizione e non della moda del tempo. 

Direi che per 7 euro (questo il prezzo in cantina) é una bevuta davvero soddisfacente per tutta la durata della degustazione e dal rapporto qualità prezzo più che giusto. In commercio lo trovate ad un paio di euro in più e ne vale comunque la pena. 

Abbinamento, temperatura di servizio e ossigenazione sono quelli adatti ad un rosso di buon corpo e struttura. Adatto (e personalmente consiglio) a qualche annetto di invecchiamento in cantina, ma anche giovane si presenta comunque amabile. 

Ultima osservazione. Durante la degustazione in cantina avevo avuto sensazioni piuttosto differenti rispetto alla bevuta odierna, ovvero 4 mesi dopo. Alla cantina Malacari (a proposito un saluto al ragazzo che ci ha accolto e accompagnato nella visita) avevo trovato strepitoso il Grignano (la riserva), mentre questo Conero base mi era sembrato esageratamente rustico, carico e piuttosto chiuso, tannico, quasi astringente, mentre oggi ho ritrovato un vino molto più morbido, armonico e piacevole. Come si dice.. le bottiglie e le sensazioni sul bevuto non sono mai tutte uguali! 

Nel complesso bella bevuta e tanta voglia di tornare a fare visita a villa Malacari. In attesa di gustarci il Rosso Conero Riserva (lasciamolo ancora qualche mese in cantina...) non possiamo che fare un plauso alla Cantina Malacari ad Alessandro Starrabba e al suo enologo Sergio Paolucci, bel esempio di viticoltura autoctona, centrata, tradizionalista e al suo Rosso più classico.

mercoledì 12 ottobre 2011

ROSSO 2007 - Toscana I.G.T. - Avignonesi

...Se siete tra quelli che proprio non sopportano i Supertuscan e i vini moderni lasciate perdere questo rosso, perché dalla tecnica produttiva al gusto, tutto spinge in quella direzione.


Mi trovo per la prima volta a scrivere degli Avignonesi, la storica e rinomata cantina di Montepulciano. Pur non essendo un'azienda antichissima (la produzione di vino é iniziata negli anni '70) é riuscita velocemente a porsi al centro dell'attenzione e a farsi largo nel mercato enologico nazionale ed internazionale, grazie ad una gamma di vini territoriali (non a caso i loro pezzi forti sono il Vin Santo e il Nobile di Montepulciano), ma anche attenzione ai nuovi trend d'oltreoceano, con la produzione di blend, joint venture con altre aziende (il 50&50 prodotto con la vinicola Capannelle) e tanto Merlot. 

Avignonesi oggi si suddivide in 4 poderi, ovvero "Le Capezzine" dove é situata la sperimentale e particolare vigna tonda, "I Poggeti", "La Selva" e "La Lombarda", per un totale di 110 ettari vitati e una produzione di circa 700.000 bottiglie l'anno.

Siccome la sfida che mi sono posto è relativa alla possibilità di bere bene a basso costo, decido di provare questo Rosso 2007, un I.G.T. Toscano, quindi un blend o Supertuscan che dir si voglia, anche se spesso con questo termine si intendono vini di ben altro spessore e costo. Qui siamo alla base, il vino “da tavola” di Avignonesi, costo medio-basso sulle 9-10 euro e reperibilità anche presso la grande distribuzione. 

Preferisco sempre puntare su vini autoctoni, ma bisogna sempre assaggiare anche prodotti più "sperimentali", così visto il prezzo contenuto, la bella etichetta, la nomea della cantina e una mix di uve abbastanza interessante (il solito mix toscano con Sangiovese, Cabernet e Merlot, viene variato con l'utilizzo del Prugnolo Gentile al posto del Sangiovese), così mi lascio convincere e acquisto la bottiglia. 

Se siete tra quelli che proprio non sopportano i Supertuscan e i vini moderni lasciate perdere questo rosso, perché dalla tecnica produttiva al gusto, tutto spinge in quella direzione. Ecco il perché..  abbiamo il classico blend in cui le uve locali vengono mischiate con vitigni internazionali (in queso caso il gioco delle tre carte viene effettuato in uguale quantità per tutte e tre le uve), solito passaggio in barriques, un po’ di rovere (per un totale di nove mesi) e 3 mesi di affinamento finale in bottiglia.

Nel bicchiere poi, diventa tutto più chiaro… il colore rosso rubino carico con unghia granata, scuro e profondo non lascia spazio alla luce. Il naso è di media persistenza ed intensità, dove una discreta vena alcolica (13%vol.) sostiene un bouquet a base di frutti di bosco rossi e neri, piuttosto dolciastro, a cui si aggiungono le classiche note dei vini passati in barriques come vaniglia e spezie. Il palato è il riflesso del naso, un vino di grande piacevolezza di bevuta che difficilmente stanca, rotondo, caldo, equilibrato, polposo, con un tannino morbido che ci accompagna verso un finale di media intensità e lunghezza con retrogusto dolciastro. 

Credo di aver reso l’idea, il vino è buono, una bella beva, costruito con grande maestria, senza spigoli, acidità o sentori sopra le righe. Tanta polpa, bevuta facile e grande dolcezza, con quel tocco di barricato che gli da un po’ di tono.

Ecco in questa bottiglia tutte le caratteristiche di un vino moderno ed internazionale. Non voglio prendere a picconate questa tipologia di vini, anche perché (soprattutto in Toscana) sono in tanti a produrre in questo modo con risultati a volte interessanti a volte meno. 

A parità di prezzo tra un blend I.G.T. come questo Rosso e un vino autoctono come un Rosso Montalcino e un Chianti classico non c’è storia… tutta la vita il Sangiovese, se invece di questi ragionamenti non ve ne frega una mazza e vi interessa un vino che possa piacere ai più, risultando di facile bevuta e a tutto pasto, allora questa bottiglia può fare al caso vostro. 

Personalmente non la comprerò più e rimango sui prodotti più tradizionali degli Avignonesi, ovvero il loro Nobile, ma se dovessi far felice qualche amico che di vino ne capisce quanto me di fisica quantistica, allora potrei investire nuovamente del denaro per questo Rosso toscano e per la gioia del bevitore della domenica. Per tutti gli altri appassionati, meglio spulciare bene gli scaffali delle enoteche, perché con 10 euro si possono fare bevute molto più particolari e meno omologate. 

Se dovessi esprimere un giudizio globale, etico e personale, questa bottiglia raggiunge a fatica la sufficienza, se invece considero solo il bevuto, devo ammettere che abbiamo a che fare con un vino che può risultare molto piacevole e che comunque è ben costruito. 

Visto che ho assegnato un 6 al Remole di Frescobaldi (che onestamente meriterebbe un 5 ma visto che si può acquistare per pochi euro direi che ha un rapporto qualità/prezzo da meritare la sufficenza) e che qui siamo sicuramente su un livello qualitativo decisamente superiore, assegno un indicativo 6.5, anche perché il prezzo, pur essendo di fascia medio-bassa mi sembra un po’ altino a cospetto del bevuto. Non a caso un prodotto similare (ma direi anche con caratteristiche migliori) come l’Elcione Vitalonga si può acquistare tranquillamente con 7 euro e a volte capita di trovarlo in offerta a 5 euro.

Quindi a voi la scelta, ora sapete cosa vi aspetta quando stappate questo Rosso. Il consiglio per chi ne ha la possibilità, é di investire un po' di soldini e gustare i grandi vini che comunque Avignonesi sa fare (Vin Santo e Nobile Grandi Annate)

domenica 9 ottobre 2011

SUMMUS 2006 - Toscana I.G.T. - Castello Banfi

...Un vino caldo e denso, avvolgente ma soprattutto tannico, alcolico, muscoloso e nervoso. Pieno e carico, troppo carico, tanto da perdere quell'equilibrio e quella finezza che potrebbero renderlo un vino con più classe, eleganza e piacevolezza di beva.


Torniamo a parlare di Banfi, secondo l'AIS il "rappresentante del Sangiovese nel mondo". Va bé sarà che io non sono un sommelier ma un metalmeccanico del vino, però questi signori che fondamentalmente mi stanno un po' sul c.... (non tutti sia chiaro, ma la maggior parte se la tirano un casino) hanno memoria troppo corta o troppi interessi politico-economici per ricordarsi che Castello Banfi più che come rappresentante del Sangiovese, si é reso famoso all'opinione pubblica per la così detta "Brunellopoli", insieme ad altri compari toscani come Frescobaldi e Antinori. 

Comunque non voglio star qui a polemizzare o ad esprimere giudizi etici ma a parlarvi e raccontarvi del vino che bevo, tenendo però presente che il produttore é fondamentale per conoscere il vino che beviamo. Se vogliamo ancora pensare ad un mondo del vino fatto non solo di bottiglie ma anche di passione e poesia non possiamo scindere il gusto del bevuto dal come é stato prodotto e da come viene coltivata l'uva. 

Non starò quindi qui a perdere tempo nel raccontarvi la grandezza e la fama raggiunta da John e Harry Mariani, per quello vi rimando all'introduzione della recensione del Rosso di Montalcino Banfi 2008, oppure ad una qualsiasi rivista o guida dedicata al vino. 

Preferisco quindi passare direttamente a parlarvi di questo Summus 2006, un blend realizzato mediante l'assemblaggio di Sangiovese (40%), Cabernet Sauvignon (40%) e Syrah (20%). Affinamento separato per 12 mesi, più 11 mesi congiuntamente, sempre in barriques, a cui seguono 6 ulteriori mesi in bottiglia. 

Bella bottiglia nell'estetica, pesante e di color verde scuro con etichetta nera e scritta color oro, già alla vista si ha la sensazione che al suo interno ci attende un vino scuro, cupo e pesante.. e così sarà... 

Alla mescita già il colore dice tutto, con un rosso rubino molto intenso ed impenetrabile, riflessi violacei e bicchiere che si colora alla prima rotazione. Un vino che potremmo quasi definire "nero" per colore, densità e profondità. Il naso, a mio modesto parere, é il suo punto di forza; grande intensità e persistenza, potente e deciso con una vena alcolica ben presente (14.5%vol. tanto da farmi lacrimare gli occhi!!) vinoso ed etereo. Le note aromatiche richiamano sicuramente la frutta matura, soprattutto quella nera, ma é l'effetto del legno a dominare, con sentori di vaniglia, cannella, cuoio, spezie, tabacco e tostatura. Non un bouquet ampissimo e amabile, non si ricerca l'eleganza ma é una bella botta in faccia a colpirci. Tanta intensità la ritroviamo purtroppo anche al palato. Se al naso questo caratteraccio sfrontato mi aveva piuttosto colpito, al palato mi é piaciuto meno. Un vino caldo e denso, avvolgente ma soprattutto tannico, alcolico, muscoloso e nervoso. Pieno e carico, troppo carico, tanto da perdere quell'equilibrio e quella finezza che potrebbero renderlo un vino con più classe, eleganza e piacevolezza di beva. Il finale sembra non arrivare mai, tanto é lungo e persistente. 

I gusti son gusti e al sottoscritto questo Summus a parte l'ottimo naso, non ha entusiasmato un granché. Un Supertuscan tutto muscolo e potenza, tanto da rendere difficile e stancante arrivare a fine bottiglia. Forse ho commesso l'errore di stappare troppo presto, un vino con questa struttura può tranquillamente invecchiare per periodi molto più lunghi, che potrebbero conferirgli più rotondità e morbidezza. 

Mi stupisce (anzi, in verità no..) che molti "esperti" del mestiere abbiano esaltato questo Summus (addirittura costantemente oltre i 90 punti su WS), per un vino che sa esprimere quasi esclusivamente alcool e muscoli. 

Onestamente considerando il costo della bottiglia (che si aggira sui 30-35 euro) penso si possano effettuare decine di bevute molto ma molto più entusiasmanti e affascinanti. 

Nel complesso un vino che vuol fare il grande più che un grande vino. 
Tra un naso impressionante e una beva che a fatica ci soddisfa. I vini tosti mi piacciono, ma quando tosti sono i produttori e il terroir da cui provengono, non quando vengono palestrati in cantina.

sabato 8 ottobre 2011

420 QUATTROVENTI 2010 - Chardonnay I.G.P. Sicilia - Feudo Ramaddini

...Sicuramente un vino articolato, dinamico, carico ed esuberante, saporito e amabile.
...E' un po' il Cassano della situazione, tanto genio ma poca disciplina..


Torno sul luogo del delitto (in senso positivo ovviamente) e le faccio con grande piacere, perché significa assaggiare un'altra boccia dei Feudi Ramaddini, direttamente dalla assolata Sicilia per mano di amici che molto gentilmente mi hanno regalato questo 420 (quattroventi). 

Il primo colpo andato a segno del Feudo é stato per mano del loro Passito di Noto Al Hamen 2010 di cui ho tessuto le lodi un mesetto fa e a cui vi rimando per le info in merito a questa interessantissima cantina di Marzamemi. 

Passo quindi a parlarvi di questa ennesima chicca del Feudo. Vino bianco prodotto con 100% uve Chardonnay vendemmiate a fine agosto, macerazione a freddo con pressatura soffice a cui seguono 4 mesi di affinamento in acciaio e 3 in bottiglia. La produzione annua é limitata a 3000 bottiglie, bella presenza estetica, la linea grafica del Feudo é indubbiamente moderna ed elegante, ma soprattutto capace di richiamare con nomi e colori la multietnica e variopinta cultura siciliana. 

Dicevamo assolata Sicilia e in questo 420 i colori, profumi e sapori, non possono che rimandare ad un immaginario dolcissimo fatto di vigne dai grappoli dorati illuminati dal sole e coccolati dalla brezza del mare. Ne deriva un vino dal color giallo-oro, limpido, brillante, dinamico e leggermente vivace appena versiamo (ma non fraintendete, siamo al cospetto di un bianco fermo). Il profumo è davvero particolare, onestamente non me lo aspettavo così... dolce... sembra quasi di avere a che fare con un moscato!! Una vena alcolica importante (13.5%vol.) sostiene un bouquet piuttosto intenso e di buona persistenza, con note aromatiche che ricordano frutta dolce e matura, come ananas, banana, albicocca e alcuni rimandi floreali, fior di pesco su tutti. Sicuramente un naso particolare, anche se per i gusti del sottoscritto manca un po' di mineralità e acidità, lasciando un "effetto dolce" troppo carico, é come tuffarsi su un cuscino soffice, mancano gli spigoli e le asperità che un bianco di questa importanza dovrebbe avere. 

Al palato buona corrispondenza con il naso, attacca dolciastro, amabile, caldo e rotondo, effetto cucchiaio di marmellata (fatemi passare il paragone per rendere l'idea) con tanta polpa di frutta dolce. Poi viene fuori la sua freschezza, la sua vena alcolica e una punta di acidità, per un finale più amarognolo e pungente. 

Sicuramente un vino articolato, dinamico, carico ed esuberante, saporito e amabile. Uno Chardonnay di grande qualità e potenzialità ma con due difetti di fondo. Il naso é troppo monocorde, come ho scritto sopra, mentre il palato é come una montagna russia, un su e giù tra morbidezza aromatica e spinta acida. Tutte caratteristiche positive ed importanti per un bianco ma qui manca equilibrio ed omogeneità, manca la finezza ed un tocco di classe per consentire a questo Quattroventi il salto di qualità. 

Un vino che diventerà grande se al Feudo Ramaddini riusciranno a trovare la giusta direzione e il giusto equilibrio, facendo però attenzione a non appiattirlo troppo e a renderlo un vino insignificante e con poco carattere. Questo é un bianco che scalpita in tutti i sensi, che ha numeri importanti e per il futuro ci aspettiamo il salto di qualità. E' un po' il Cassano della situazione, tanto genio ma poca disciplina.. 

Voglio comunque dare fiducia al 420 e al Feudo, consiglio quindi l'acquisto di questa bottiglia (non conosco il prezzo perché mi é stata regalata) che sicuramente non lascia indifferenti e sa sollecitare le vostre papille gustative, cosa non da poco in tempi di globalizzazione, anche nel gusto. 

Io l'ho provato in abbinamento ad un risotto di pesce e onestamente con un attacco e un naso così dolce non ci stava un granché bene, ma servito fresco con un antipasto estivo, magari una tartar di pesce o un formaggio tenero tipo burrata può dare delle belle sensazioni. 

Dopo l'ottimo passito di Noto e uno Chardonnay nervosetto, lasciamo per un po' il Feudo in attesa di testare anche il loro rosso (Nero d'Avola) che attualmente riposa in cantinua e da cui mi aspetto grandi cose. 

Quindi secondo applauso per il Feudo Ramaddini per un vino da aggiustare ma di grandi prospettive.

mercoledì 5 ottobre 2011

MY SHARONA?? MY TRAONA!! Morbegno in Cantina 16°ed.

...Prodotti schietti, fatti con un'idea di vino antica, niente affinamento in barriques nuove, gradazioni alcoliche elevate, polpa marmellatosa e zuccheri, in questa zona della Valtellina denominata Costiera dei Cech, trovate tanti piccoli vignaioli i cui vini sono espressione di poche parole ma tanta fatica, lavoro e amore per la terra.

Domenica 02 ottobre partiamo in direzione Valtellina per la manifestazione “Morbegno in cantina” annuale iniziativa intinerante tra le storiche cantine di Morbegno e di alcuni comuni limitrofi (Traona, Mello,Dazio ecc..). E’ la prima volta che partecipo a questa iniziativa e ne vengo a conoscenza grazie all’invito di alcuni amici che partecipano già da alcuni anni.

Siamo in 5, giusti giusti per fare una smacchinata, porto con me uno zainetto, l’obiettivo è riempirlo di bottiglie interessanti, magari di qualche produttore meno conosciuto o difficilmente rintracciabile nelle enoteche del Varesotto; mi piacciono parecchio i vini a base Nebbiolo e anche qui in Valtellina con questa tipologia di uva si riescono a produrre vini qualitativamente eccellenti (Sfurzat su tutti, ma anche Sassella,Grumello,Inferno ecc…). Alla fine tornerò a casa con zero bottiglie di vino, per una serie di motivi che poi vi spiegherò, ma comunque non proprio a mani vuote, saranno infatti formaggio, dolci (Bisciola, una pagnotta con uvetta, noci e fichi secchi) e la fantastica Slinzega a riempire il mio zaino (per chi non la conosce è una specie di Bresaola aromatizzata con cannella, garofano, pepe, aglio, alloro e vino rosso).

Comunque vi racconto un po’ come è andata la giornata e cosa abbiamo trovato e degustato. Ci siamo diretti al paesino di Traona, preferito a Morbegno in quanto più caratteristico e meno affollato. Giornata più estiva che autunnale, arriviamo per ora di pranzo (ottimo il menù tradizionale, con 10 euro una abbondante razione di polenta taragna con brasato, formaggio, dolce) e siamo accolti da un paese piuttosto sonnolento. Le attività sono appena cominciate e a quanto ci raccontano il “giro cantine” del sabato sera è stato piuttosto affollato e animato da un tasso alcolico sopra le righe. Quindi risveglio lento e faticoso. Oggi poca gente e soprattutto pochi gruppi di giovani chiassosi con l’unico scopo di bere il più possibile.

Il giro degustazione comprende 11 cantine storiche situate nei sotterranei del paese, quindi brevi distanze da percorrere, una sola degustazione per cantina (quasi sempre con una sola tipologia di vino), costo di 13 euro e come sempre bicchiere per degustazione serigrafato  con tracolla porta-bicchiere di Bertinottiana memoria.

Iniziamo il giro della cantine verso le 14, dopo aver pranzato e aver preparato lo stomaco, 11 bicchieri di vino a stomaco vuoto possono essere pericolosi. Furbescamente partiamo dal fondo, per un satanico giro all’incontriamo, così evitiamo il grosso della “people” che si muove ordinatamente dalla prima all’ultima cantina.

Queste antiche cantine sotterranee non sono più utilizzate dai vignaioli locali e vengono riaperte e decorate con cura solo per queste occasioni festaiole, una situazione molto casereccia e rurale, dove oltre al vino è possibile assaggiare anche qualche formaggio, affettati e dolci tipici.

Ma parliamo un po’ delle degustazioni e iniziamo con le cose che mi sono piaciute meno.. allora questo giro cantine di Traona è più adatto ad un’allegra scampagnata in compagnia che non ad un vero e proprio giro degustazione. Chi come me andava cercando una via di mezzo è rimasto un po’ deluso. Non volevamo di certo fare il giro cantine da 35 euro con i signori dell’A.I.S. , perché ci sembrava una situazione troppo “ingessata” e dispendiosa, però, pur cercando un percorso più rustico e popolare, mi aspettavo comunque qualche bevuta più interessante e di livello, nonché la possibilità di interagire con viticolturi, produttori ecc… invece al banco degli “assaggi” abbiamo trovato più che altro i volontari del paese, alpini, uomini della protezione civile, le signore dell’oratorio ecc.. tutti a versare vino prodotto da altri. Alla prima degustazione una simpatica sign. ci illustra il bevuto, giusto 4 informazioni di base, alla mia domanda se il vino fosse fatto solo con uve Nebbiolo o assemblato con altre uve la risposta che ho ottenuta è stata “no, viene fatto con uva Chiavennasca”, così già alla prima cantina ho smesso di fare domande e ho buttato giù senza troppo indagare.

In totale 11 degustazioni, con 4 piccoli viticolturi proprio del paese di Traona, mentre il resto delle cantine offriva vini di produttori più o meno famosi dell’area Valtellina, come ad esempio Bettini, Balgera, Negri e Sertoli Salis.

Purtroppo la proposta si basa sui vini meno pregiati, solo Balgera ha offerto una degustazione a base di Sassella e Valgella, non a caso da un punto di vista organolettico e strutturale sono stati i vini che più ho apprezzato, mentre purtroppo Sertoli Salis ha proposto un semplice Rosso Valtellina che purtroppo ho assaggiato per ultimo, quando ormai bevi-bevi risultava difficile apprezzare a pieno il bevuto. L’ultima pecca è stata l’impossibilità di acquistare le bottiglie direttamente in cantina. Degusto, mi piace, mi porto una bottiglia a casa. Invece qui no, forse per ragioni di sicurezza o evitare gli eccessi, ma non era possibile acquistare bottiglie in cantina. Peccato.

Di positivo devo segnalare molte altre cose, forse meno tecniche e meno legate al bevuto, quanto nell’insieme alla bella e paesana iniziativa, alla meticolosa cura con cui sono state riaperte e allestite le antiche cantine di paese. Niente sommelier, barricaie che sembrano gioiellerie e tenute a 5 stelle, ma un ricongiungimento rustico e genuino con la cultura e la tradizione di un piccolo paese di montagna e i suoi vignaioli, dove le vigne terrazzate partono dal paese per salire lungo il crinale che guarda a sud, dove il vino si produce e si beve di anno in anno, e che sa soprattutto di uva.. il vino come lo beveva mio nonno, semplice ed essenziale espressione di un territorio e del suo produttore.

Proprio per questo è stato davvero un piacere riuscire a scambiare due parole con alcune persone del paese che producono vino. Al diavolo le nozioni tecniche, i loro racconti parlano di storia, di tradizione di aneddoti su come si faceva il vino una volta, che l’uva si pigiava con i piedi, ma da donne vergini, così ne usciva un vino più nobile, il tutto raccontato sempre con il sorriso sulle labbra, un po’ in italiano e un po’ in dialetto e quando chiedi che tipo di vino producono ti dicono solo che fanno un vino genuino e sincero, fatto con l’uva vera.

Probabilmente (grazie a Dio) qui Wine Spectator non sanno neanche cosa sia e poco importa se il risultato del loro lavoro siano modesti vini da tavola da 12%vol., rustici e pungenti; perché sono le parole e i racconti dei produttori, l’acidità dei vini, le pareti del bicchiere che diventano quasi viola alla prima rotazione, un vino impenetrabile da cui non filtra neanche un raggio di luce a riconciliarci con il mondo del vino, quello vero, rustico e sincero che molto spesso oggi facciamo fatica a ritrovare nei più famosi produttori.

Qui non si cerca l’eccellenza, ma quasi mi commuovo quando un vignaiolo come il signor Bonini mi manda un mail il giorno dopo averlo conosciuto, per chiedermi quasi con timore, se avrò un giudizio negativo del suo vino non soffisticato, ma che comunque è fatto con sincerità, passione e soprattutto uva. Prodotti schietti, fatti con un'idea di vino antica, niente affinamento in barriques nuove, gradazioni alcoliche elevate, polpa marmellatosa e zuccheri, in questa zona della Valtellina denominata Costiera dei Cech, trovate tanti piccoli vignaioli i cui vini sono espressione di poche parole ma tanta fatica, lavoro e amore per la terra.

E che dire di quando giù in cantina Antonio mi spiega con parole che più semplici non si può, che il suo vino è più buono di quello che produce il suo amico? Perché pur con vitigni e processi produttivi simili, le uve non sono mai tutti uguali, le piante anche se a pochi metri di distanza hanno caratteristiche diverse, e quindi anche i vini sono differenti. Ecco qua il concetto di “terroir” spiegato in due minuti nella maniera più semplice e naturale possibile tra una battuta in dialetto e uno sfottò all’amico vignaiolo.

Non mancheremo mai di nutrire profondo rispetto per questi produttori, che ovviamente propongono un vino semplice, ma è anche vero che alcune cantine riescono a proporci vini di grande spessore e importanza con questa filosofia di semplice e naturale cultura contadina, con genuina passione e rispetto per la terra e i suoi frutti.

Non siamo riusciti a scoprire nuovi grandi vini; ma è sempre meglio un sanguineo e dignitoso bicchiere di "vino da tavola" che un bicchiere di pregiato Brunello prodotto da una cantina di fama internazionale ma con uve taraccote.. (e che la maffiopoli del vino ha avuto il coraggio di nominare “ambasciatore del sangiovese nel mondo”). Forse al palato in una degustazione alla cieca voteremmo per il Brunello taroccato, ma quando conosci il produttore (unico e vero metro di giudizio) non puoi non ammirare un vignaiolo come il sign. Bonani, esempio di viticoltura autentica, non omologata e in un certo senso “resistente” (e che sa produrre un vino di pronta beva davvero piacevole).

Nel complesso una bella esperienza, mi permetto di segnalare tra i bevuti il Valgella di Balgera (se non ricordo male annata 2001) per struttura e persistenza, diciamo il vino più "di spessore" assaggiato; ma anche il rosso “casalingo” del sign. Bonini , sicuramente la miglior bevuta tra i produttori locali insieme al Sentimento della Coop. Agr. Terrazze dei Cech, e all' Orgoglio di Piccapietra, vini che pur nella loro rusticità mi sono sembrati dignitosi, schietti e piacevoli alla beva.

Se solo questi sign. avessero la voglia e la possibilità di investire nelle loro cantine e provare a proporre almeno una linea di vini di qualità superiore, con affinamento in botti di rovere ecc…, diciamo come si fa con il Nebbiolo a Gattinara, potrebbero uscirne fuori delle eno-chicche davvero interessanti, ma forse questo significherebbe snaturare la loro naturale ed eroica attitudine di vignaioli d'altri tempi. 

Bene così quindi… e da oggi My Sharona dei The Knack diventerà My Traona!! (Passatemi la stronzata ma ho visto scritto My Traona sul guestbook di una cantina e mi é troppo piaciuta!!)

lunedì 3 ottobre 2011

PACTIO 2009 - Maremma Toscana I.G.T. - Fertuna

...un processo produttivo tecnologicamente avanzato e controllato in ogni minimo dettaglio. Una cantina nuova e moderna dove si fanno vini dal gusto moderno.


Posso dire che domenica 25 settembre è stata una giornata di inviti, nel pomeriggio la festicciola per il compleanno numero uno di mia nipote Amalia e a seguire cena a casa di mia cognata Veronica. Quindi giù di brutto con il mangiare, torte e dolci vari il pomeriggio, mentre a cena gustiamo ottimi cannelloni al ragù e un tortino in pasta sfoglia a base di patate (più altri ingredienti che non ricordo).

Conoscendo la mia passione in materia, Vera e Andrea lasciano al sottoscritto la scelta del vino.. davanti a me tre bottiglie in bella mostra, un Vermentino dei colli di Luni,  un rosato del Salento di cui non ricordo più il nome e un rosso della Maremma Toscana, per la precisione il famoso  Pactio della vinicola Fertuna.

Essendo amante di rosso e in previsione di un piatto di fumanti cannelloni al ragù opto per il Pactio, anche perché bianco e rosato preferisco berli più freschi e non a temperatura ambiente.

Allora, si tratta di un I.G.T. della Maremma Toscana, annata 2009 prodotto dall’azienda Fertuna. Dicevo che è un vino piuttosto conosciuto… motivo?? Al di la della qualità del prodotto a dare lustro e riconoscimento é inevitabilmente la firma di mister Sassicaia posta sull’etichetta. Infatti questo blend nasce con lo scopo di festeggiare l’amicizia tra il Marchese Nicolò Incisa della Rocchetta e Giuseppe Meregalli dell’azienda Fertuna. Unione simbolica tra due nomi forti dell’enologia italiana e soprattutto grande mossa di marketing, con l’idea di piazzare e promuovere sul mercato l’ennesimo supertuscan, zona di produzione la Maremma ovvero la nuova Bolgheri, tanto che negli ultimi anni i grandi produttori sembrano aver trovato in questa zona della Toscana una delle nuove frontiere della vitivinicoltura nazionale.

Fertuna rappresenta a pieno titolo tutto quello che potete aspettarvi da una moderna azienda vinicola che vuole prepotentemente guadagnarsi la sua fetta di mercato e riconoscimento internazionale. Se avete una visione romantica e poetica del vino e dei vignaioli cambiate cantina.. tradizione, cultura e terroir non sono gli elementi sui cui punta questa azienda vinicola.

Siamo in una tenuta nuova, niente di storico o radicato, ma l’idea di un investimento, creare un progetto e una cantina dal nulla, ovviamente in Maremma, a pochi km da Punta Ala, famosa località turistica frequentata da “sportivi” amanti della vela e del golf. Mega villa con mega tenuta ovviamente, barricaia e macchinari nuovi per un processo produttivo tecnologicamente avanzato e controllato in ogni minimo dettaglio. Una cantina nuova e moderna dove si fanno vini dal gusto moderno.

Circa 50 ettari di vigneto,  dove oltre al Sangiovese spiccano i più importanti vitigni internazionali come il Merlot e il Cabernet Sauvignon. Proprio dall’unione di questi 3 vitigni (nelle percentuali del 60/20/20) nasce questo assemblato denominato Pactio, prodotto da vigne piuttosto giovani e guarda caso, 4 mesi di affinamento in barriques nuove. Si fa così il gusto moderno giusto?? Una passatina in barriques nuove e via..

E guarda caso i vini moderni si assomigliano un po’ tutti e poco conta a questo punto trovarsi a Gavorrano in Maremma a Bordeaux o in California.. Chi segue il blog sa che faccio il tifo per i viticoltori indipendenti, autoctoni, naturali, che sanno produrre vini che esprimono il terroir, che pago con piacere il giusto riconoscimento al lavoro e al valore del prodotto e non per i riconoscimenti ottenuti da una guida o rivista di settore. Diversamente sono sempre un po’ prevenuto di fronte a questi nuovi e rampanti industriali del vino.

Una lancia però dobbiamo spezzarla a favore di questo Pactio e non essere prevenuti in partenza nel giudicarlo. Tralasciando il chi-come-dove-quando, bisogna ammettere che la bevuta è ottima, che pur essendo un vino furbo, piacione e di facile presa riesce a conservare le tipiche caratteristiche del Sangiovese senza appiattirsi troppo.

Alla mescita si presenta di color rosso rubino intenso, fluido e brillante, con riflessi granata. Al naso di media intensità e persistenza, piuttosto vinoso con note di frutta rossa matura e i classici sentori dei vini barricati, vaniglia su tutti. Al palato notiamo una certa freschezza e facilità di bevuta, con una vena acida ben equilibrata da tannini morbidi. Nell’insieme un vino di buona struttura, di facile presa (il classico vino che piace a tutti..), che sa pungere ma con dolcezza, una nota alcolica che si fa sentire (13%vol.)  ben equilibrata da un retrogusto dolciastro e amarognolo allo stesso tempo. Davvero un vino ben costruito. 

Che dire, per quanto bevuto vale tutto il prezzo di vendita (10-12 euro), se avete gli stessi gusti e la stessa idea sul mondo del vino di Robert Parker questo è il vino che fa per voi, se invece in questo mondo ricercate un’altra idea di gusto e di etica allora investite il vostro denaro su altre bottiglie e altri produttori.

Assegno un bel 7 a questo Pactio, praticamente lo stesso voto che ho assegnato qualche giorno fa al Gattinara di Franco Patriarca, perché pur con grosse differenze sono entrambi vini validi; certo la romantica passione di un piccolo vignaiolo tuttofare come il sign. Franco merita un 10 se confrontato con l’ipertecnologica cantina Fertuna, a dimostrazione che pur esprimendo un giudizio in merito il bevuto, non si può non tenere in considerazione tutto il processo che porta al risultato finale.

Per questo motivo, consiglio a tutti di leggere sempre con attenzione e tra le righe, i post sui blog o le recensioni sulle guide, non soffermarsi mai solo sulla valutazione finale, alla fine quello del voto è solo un gioco indicativo.

Va beh, diffidate sempre e leggete con spirito critico, alla fine possiamo raccontarne quante ne vogliamo, ma l’unico modo per valutare un vino è conoscere a fondo il suo produttore.

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Conosco e bevo "Castello Conti" da alcuni anni, e provo una profonda ammirazione per i loro vini e per il lavoro "senza trucchi" di Elena e Paola. Da una recente visita con degustazione presso la loro cantina di Maggiora, é nata una sorta di collaborazione appassionata, che mi ha permesso di gustare l'intera produzione di rossi del Castello, che oggi in questo mega-post ho il piacere di raccontarvi alla mia maniera...

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.