I
grandi dischi li metti su e ti emozioni dal primo all’ultimo pezzo… Il Montevertine è perfetto così, dal
primo all’ultimo sorso, inconfondibile nello stile che punta l’ago della
bussola dritto su Radda.
Mi sono preso una piccola pausa di inizio primavera, avevo
bisogno di staccare dal grigiore invernale per lasciarmi accecare dal blu del
cielo e del mare, annegando nei sorsi minerali di Forlini Capellini, perché non
si può godere fino in fondo dell’incanto “ligure” di Manarola senza il suo
bianco delle Cinque Terre… Riparto con qualche tacca in più nell’indicatore
della batteria, dopo le energie consumate nel mega-post dedicato ai cinque
rossi del Castello Conti, e lo faccio alla grande, ripartendo dal cuore del
Chianti Classico, comune di Radda in Chianti, per raccontarvi l’ennesima eno-esperienza,
questa volta al cospetto di uno dei migliori Chianti Classico “fuori categoria”
in circolazione. Post assai inutile per i molti appassionati devoti ai vini
della famiglia Manetti e di quel “Le Pergole Torte”, vino simbolo della
produzione vitivinicola di Montevertine. Per tutti i neofiti, prego segnarsi in
agenda questo nome, nella lista dei produttori imperdibili, quelli per cui
almeno una volta nella vita val la pena fare un sacrificio...
Altro spunto di interesse del post odierno, è che non sono
qui a decantare il vino “simbolo” dall’etichetta artistica a firma Alberto
Manfredi, ma del suo “fratello minore” vino che porta il nome della cantina e
che a mio modesto parere, più di ogni altro si eleva a simbolo di questo
territorio, anche se non ne porta il nome e il Gallo Nero, preferendo andare
per la sua strada e uscire come semplice I.G.T.
Tralasciando qualsiasi riferimento polemico e polemizzante
sulle infelici uscite di Martino Manetti, di cui molto si è scritto un anno fa
e che sicuramente non gli valgono punti simpatia qui a Simo diVino, anzi, ti
passa anche un po’ la voglia di stappare… scuoto il capo e mi concentro su
questioni “squisitamente” enoiche, perché non si discute l’importanza e il
ruolo che Montevertine ha nel panorama vitivinicolo toscano e nazionale, una
cantina simbolo, che ha indubbiamente scritto alcune delle pagine più belle del
territorio chiantigiano. Una cantina oggi definibile con l’abusato termine di
“tradizionalista”, ma sicuramente “futurista” e “innovativo” quando un
visionario Sergio Manetti, in tempi non sospetti, capì di avere tra le mani un
vino a suo modo unico, un cavallo di razza superiore che meritava di essere
valorizzato e distinto dalle innumerevoli fiaschette di Chianti che si
servivano nelle osterie.
E’ stampata nella storia la data del 1967, quando l’imprenditore
siderurgico Sergio Manetti, acquista Montevertine come residenza estiva, e da
appassionato iniziare la sua avventura nel mondo del vino impiantando due
ettari di vigneto. Il 1971 è l’anno dell’esordio e le prime bottiglie
riscuotono subito un grandissimo successo. Il resto è storia, con la costruzione
della cantina, il restauro della casa, l’impianto dei nuovi vigneti, i successi
e i riconoscimenti… Oggi a guidare la cantina è Martino Manetti, a lui il non
facile compito di tenere viva la leggenda di Montevertine.
Oggi sono 18 gli ettari vitati e circa 80/90.000 bottiglie prodotte, con il sangiovese
costituisce circa il 90% del totale delle viti piantate, mentre il restante 10%
è costituito da Colorino e Canaiolo. I vigneti sono costituiti da viti più
vecchie allevate a Guyot e da quelle reimpiantate recentemente a cordone
speronato e con densità di impianto più elevate. Dall’annata 2009 si è
intrapresa una conduzione totalmente biologica dei vigneti, con inerbimento
spontaneo, utilizzo di compost e unicamente rame/zolfo come forma di difesa
della vite .
Il Montevertine è costituito dal più
classico assemblaggio chiantigiano, con il sangiovese (90%) che domina su
piccole quantità di canaiolo e colorino, le altre due tipiche varietà autoctone
di queste zone. Ovviamente la qualità parte dalla selezione in vigna, con
conseguenti basse rese (45hl/ha). Particolarità l’utilizzo di vasche in cemento
per la fermentazione, mediante l'uso di lieviti indigeni mentre l’affinamento si svolge in botti di Slavonia per
24 mesi. Gradazione del 12.5%vol. e prezzo di acquisto pari a 28euro (ad oggi
dovete aggiungerci almeno un 5euro…).
Da più parti gli “esperti” hanno indicato nel 2008 come un
Montevertine di grande prospettiva, il classico vino che bisogna saper
attendere. Alla fine non sono riuscito a tenere la bottiglia in cantina più di
due anni, avrebbe tranquillamente soggiornato più a lungo, ma sono io il
“debole” che ha ceduto alla tentazione e tutto sommato non mi è andata male,
visto che la beva si è rilevata ottimale.
Ritrovo nel bicchiere un elegante rosso dal color rubino
opaco, pulito, fine e trasparente. Glu glu… ed ecco rilevarsi il Sangiovese
nella sua forma più nobile. Un sorso impeccabile per fluidità, pulizia,
equilibrio, finezza, senza esagerare in scarnificazione e sottrazione,
mantenendo quei profumi e quel carattere verticale che punta l’ago della
bussola dritto su Radda.
Semplicemente
un grande vino, senza bisogno di esplicitarne il motivo, è tutto un insieme di
sfumature e sensazioni che quadrano a meraviglia nella maniera più naturale
possibile, una bellezza che genera un sorso semplicemente entusiasmante. I
grandi dischi li metti su e ti emozioni dal primo all’ultimo pezzo… il disco
suona così, perfetto e quando la puntina “gracchia” non è un problema, anzi rende
ancora più emozionale e vivo il momento. Il Montevertine è perfetto così, dal
primo all’ultimo sorso, inconfondibile nello stile, con guizzi squisitamente
dolci di sottobosco, dai sentori di erba fresca e viole, sussurrata mineralità,
dalla tridimensionalità del sorso che cresce in persistenza con il passare dei
minuti, mai stancante e sempre vivo, appagante, convincente, a tratti succoso,
con un fondo sapido e leggermente terroso che lo fanno “gracchiare” come la
puntina sul vinile. Un vino che solo gli amanti dei muscoli potranno
etichettare come esile e sfuggente, per tutti gli altri è l’emblema della sensualità,
un vino che ha stoffa e personalità, che sa brillare di luce propria, il tutto
in un’annata come la 2008, che ha dato vita a vini meno pronti e più maschi.
Una collina baciata dagli dei, quasi un luogo sacro per il Sangiovese
e giustamente meta di pellegrinaggio per tutti noi devoti ai vini di territorio.
Non resta che augurare lunga vita alla leggenda di
Montevertine, oggi che alcuni dei fondamenti sono venuti a mancare, non solo il
genio di Sergio Manetti che manca oramai dal 2000, ma anche la competenza
tecnica di un degustatore di eccezione e maestro del sangiovese come Giulio
“bicchierino” Gambelli e Bruno Bini, cantiniere storico della famiglia Manetti.
Tra gli appassionati più “facinorosi” c’è chi rimpiange il fondatore Sergio,
chi sostiene che il figlio Martino non sia all’altezza del suo predecessore,
che abbia poco del vignaiolo e più dell’imprenditore, che non abbia lo “stile”
del padre, e questo si fa sentire anche nei vini.
Non posso essere io a dirvelo, non ho avuto la fortuna di
assaggiare le vecchie annate prodotte da Sergio Manetti, di sicuro ancora oggi
Montevertine rimane una cantina che non si discute, per cui si nutre una forma
di amore-rispetto-soggezione che si prova solo al cospetto dei grandi, di
coloro che in qualche modo hanno scritto un piccolo pezzo di storia. Quando
infili il cavatappi nel sughero avverti quella piccola scossa che ti scuote
ogni qual volta vai a stappare un Biondi Santi, un Bartolo Mascarello o un Quintarelli,
ogni qual volta appoggi la puntina su un vecchio capolavoro di Dylan, degli
Stones o dei Velvet Underground.
Montevertine è un vino irrinunciabile, ma consiglio vivamente
di “declinare” anche sul Pian del Ciampolo che rappresenta il vino “base” della
cantina… costa la metà… e saprà “dissetarvi” con tanta gioia…
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